Quale binomio più giusto e coerente?
In
effetti, fin dalla fine del XIX secolo, quando fu finalmente decifrata
la scrittura cuneiforme dando vita alla nascita dell’assiriologia, si
generò un ampio scontro tra due schieramenti, uno pro e l’altro contro
l’attribuzione della paternità di questa nuova scrittura alla lingua
sumera di origine semitica. Una diatriba che rese ancor più accidentato
il percorso della ricerca delle origini di questo straordinario quanto
incredibile popolo, che con questa invenzione decretò la fine della
Preistoria e l’inizio della Storia.
Immigrati dalla Valle dell’Indo o originari dei territori montani del Caucaso?
Popolazione semita o non semita?
Quesiti
relativi ai Sumeri ai quali il mondo accademico, da ben 150 anni, non è
ancora stato capace di trovare risposte certe e quindi definitive. Ma
le cose stanno proprio così?
Sta
di fatto che, allo stato attuale della nostra conoscenza, benché sulla
provenienza geografica di questa straordinaria civiltà ci sia chi
sostiene pariteticamente l’una o l’altra delle due ipotesi appena
indicate, per quanto riguarda l’appartenenza etnica sembrerebbero tutti
d’accordo sull’origine non semitica. Sembrerebbero!
Si.
Un condizionale prudente, ma soprattutto espressione di un pensiero
frutto dell’essere consci che, alla chiusura di un conflitto, in questo
caso archeologico-letterario, l’armistizio si concretizza sempre con uno
o più compromessi sopportati, come è logico, dalla parte perdente. E la
storia, come si sa, la scrivono i vincitori. Una storia che, quando va
bene, costituisce una mezza verità, e l’altra mezza, ovviamente, si
tende a farla deliberatamente cadere nell’oblio. Tant’è che da quel
momento, circa 50 anni fa, sebbene ci siano stati dei timidi tentativi
di ricerca, nel mondo accademico non si è più prodotto alcun progresso
verso l’enigma delle origini della civiltà sumera. Stallo totale. Stano,
non è vero?
Ma
se fosse la solita tecnica oscurantistica attuata dal vincitore? Oppure
si tratta di una normalissima coincidenza? Il dubbio rimane. A tal
proposito Voltaire diceva: “Il dubbio è scomodo ma solo gli imbecilli
non ne hanno”. Personalmente considero i dubbi la molla propulsiva del
sapere, del conoscere e del ricercare. Quindi, mettiamoci all’opera in
maniera severa ed ordinata.
Era
la fine del XX secolo quando imperversava lo scontro tra i vari
studiosi circa l’accettazione della definizione di una nuova scrittura
derivante dalla lingua sumera di origine semitica. La divergenza tra i
due schieramenti era tale che i contrari, la parte più consistente,
giunsero perfino a negare l’esistenza del popolo sumero. Però,
successivamente questa posizione negazionista dovette mutarsi in
possibilista a fronte delle numerosissime prove anche archeologiche che
sostenevano la tesi opposta. Ma questo cambio di atteggiamento fu
l’unica apertura concessa. In breve, la nuova scrittura e la nuova lingua apparteneva al popolo Sumero, che come tale non era di origine semita.
Un
compromesso raggiunto con la buona pace di tutti, che indubbiamente ha
condizionato tutta la futura filologia dei stesti mesopotamici. Un
compromesso che, rileggendo la storia di quel periodo, genera il grande
sospetto che esso non fosse scevro da condizionamenti esterni ed
estranei, in un certo qual modo, al mondo archeologico e letterario.
Perché? Perché proprio in quell’epoca in Europa iniziavano a soffiare i
primi venti antisemiti, e gli studiosi pan germanici non ne erano certo
immuni. Una risposta, forse, che non è risolutiva del dubbio, ma che,
come vedremo, rappresenta la Stella Polare nel nostro cammino alla
ricerca delle origini del popolo Sumero.
Nella miriade di documenti da me esaminati ho avuto modo di leggerne uno straordinario.
Tanto
per il suo contenuto quanto per l’autorevolezza del suo autore, tale è
Samuel Noah Kramer, il più importante sumerologo del XX secolo. La
pubblicazione di Kramer risale al 1963. Perché non è stata messa in
luce? Perché non ha ricevuto la giusta risonanza che meritava?
Le
conclusioni a cui Kramer giunse, dopo averci portato per mano in un
percorso storico e razionale, sono rivoluzionarie; sicuramente
scioccanti per l’elevato impatto che esse, se accolte, avrebbero avuto
sugli studi biblici. Sarà per questi motivi che sia i sumerologi che gli
studiosi del testo biblico, come contromisura, adottarono la strategia
dell’in-differenza?
Come
spesso accade nel mondo accademico, quando la presentazione di una
teoria si discosta dall’ortodossia scientifica in maniera che oserei
definire risolutiva, essa viene definita eretica!
Ma
quando l’autore dello studio è del calibro del professor Kramer,
tacciarlo di eresia avrebbe sollevato un grande e controproducente
pol-verone alimentato, oltretutto, dalla sua conclamata serietà
professionale.
Di
conseguenza, ecco che i “generali accademici” dell’epoca, per
contrastare la minaccia della conclusione a cui era giunto il
sumerologo, optarono per una mossa alternativa al tradizionale e
consueto discredito: il silenzio. Tutto chiaro!
Gli
studi di Kramer partono dalla considerazione generata dal confronto tra
il conosciuto della civiltà sumera e la tradizione israelita.
Secondo
tali studi, seguendo la narrazione biblica, gli antenati dei patriarchi
ebrei, lasciato l’Eden, si trasferirono ed infine si stabilirono nella
“Terra di Shinar”, l’antica Sumer. Studi che avvalorano, in particolare,
le relazioni tra i patriarchi biblici e i Sumeri:
“I
risultati raggiunti dai sumeri in fatto di civiltà, religione e
letteratura hanno lasciato un’impronta profonda non solo sui popoli a
loro vicini in termini di spazio e tempo, ma anche sulla cultura
dell’uomo di oggi, soprattutto attraverso la loro influenza, sia pure
indiretta, sugli antichi ebrei e sulla Bibbia. Quanto gli ebrei debbano
ai sumeri appare evidente ogni giorno di più, a mano a mano che vengono
ricomposti e tradotti i testi della letteratura sumera; che, a quanto ci
è dato di vedere, ha non poche caratteristiche in comune con i libri
della Bibbia.”1
Quello
che ad una prima lettura potrebbe sembrare una teorica premessa, in
verità oggi è un concetto ormai consolidato. Ad essere precisi, Kramer
lo aveva già ampiamente dimostrato nella sua pubblicazione del 1956 dal
titolo “From the sumerian tablets”2 e tale opinione fu poi largamente accettata dal mondo accademico.
Come ogni buon progetto di indagine, anche questo parte da un dato di fatto, uno status quo fondamentale che genera inevitabilmente delle domande come:
“Se
i sumeri sono stati un popolo che nel Vicino Oriente antico ha
raggiunto risultati tanto importanti in campo letterario e culturale da
lasciare un’impronta indelebile sulle opere degli uomini di lettere
ebrei, perché mai la Bibbia quasi non li nomina?”3
Nell’Antico
Testamento vengono citate quasi tutte le civiltà importanti del Vicino
Oriente antico come Egizi, Cananei, Amorrei, Urriti, Ittiti, Assiri,
Babilonesi, ed altri. Ma i Sumeri non vengono indicati. Perché?
Come
già detto precedentemente, il professor Kramer era persona di provata
onestà e capacità, e queste qualità emergono anche in questa occasione;
lo dimostra il fatto che con la pubblicazione di questo lavoro non
intendesse solo servire la causa dell’assiriologia, ma anche riproporre
una analoga indagine pubblicata la prima volta nel 1941. Indagine il cui
autore era nientemeno che il suo maestro Arno Poebel (1881-1958), altro
grande ricercatore del pianeta Mesopotamia.
Il motivo di questa riesposizione? Trasparentissimo. Ecco come lo giustifica:
“Vale
la pena di ricordare che a questo interessante enigma il mio maestro e
collega, Arno Poebel, ha proposto una soluzione in un articolo
pubblicato dall’«American Jounal of Semitic Languages» (vol. 58, 1941,
pp. 20-26). L’ipotesi di Poebel non ha trovato alcuna eco tra gli
orientalisti e sembra che sia caduta nel dimenticatoio. È mia opinione,
tuttavia, che reggerà la prova del tempo e che prima o poi avrà il
riconoscimento che le spetta, in quanto contributo significativo alla
determinazione delle correlazioni tra ebrei e sumeri.”4
Ogni
commento è superfluo. Questo paragrafo trasuda sconforto, dolore,
sbigottimento, ma, nello stesso tempo, speranza e fiducia per un futuro
che saprà riconoscere meriti ed onori trascurati.
Le
mie sensazioni erano giuste, tanto quanto i dubbi da esse generate: gli
orientalisti – come li definisce Kramer – hanno disprezzato con la
noncuranza. Assodato questo, rimane da capire perché.
Con
la pubblicazione del risultato di questa straordinaria analisi, lo
scopo di Kramer fu di dare la soluzione all’enigmatica assenza dei
Sumeri dal racconto biblico.
Per fare ciò, l’autore prese in esame in maniera rigorosa la grammatica della scrittura sumera. Vediamo come.
Nell’uso
delle consonanti, quando queste si trovavano al termine di una parola, i
Sumeri omettevano di pronunciarle. Nel caso specifico in cui la parola
fosse dingir, essa veniva pronunciata “dingi”, per quanto la consonante “r” fosse scritta. Proseguiamo:“Torniamo
dunque al nostro problema e alla ricerca della parola «Sumer», o meglio
«Shumer», per usare la forma che compare nei documenti in caratteri
cuneiformi. Poebel fu colpito dalla somiglianza tra «Shumer» e «Shem»,
il nome del figlio maggiore di Noè, da cui derivano gli eponimi come
Ashur, Elam, e soprattutto, Eber, l’eponimo degli ebrei.”5
Il passo della Bibbia, a cui si fa riferimento, è in Genesi 10, 21-22 ed è il seguente: 21 “Unto Shem, the father of all the children of Eber […]. 22 The children of Shem; Elam, and Asshur, and Arphaxad, and Lud and Aram”.6
Ora,
considerato che, come ormai generalmente accettato dall’intera comunità
degli storici, per figli di Eber si intende il popolo ebreo, non
potrebbe ugualmente dirsi che il nome Shem rappresenti l’eponimo del
termine Shumer, ovvero la terra di Sumer? Per Kramer non c’è alcun
dubbio: la risposta è affermativa e ce lo dimostra precisando che: la
vocale ebraica “e” equivale spesso alla vocale cuneiforme “u” (v. lo shum accadico e lo shem
ebraico entrambi significanti “nome”); come indicato nelle righe
precedenti in merito all’uso delle consonanti finali, la parola shumer veniva pronunciata shumi o, più frequentemente, shum (la vocale “i” è molto corta), così come nella lingua ebraica la parola sarebbe stata pronunciata shem.
Ecco la conclusione di Kramer: “Se
l’ipotesi di Poebel risulta corretta, e Shem corrisponde a
Shumer/Sumer, dobbiamo concludere che gli autori ebrei della Bibbia, o
quanto meno alcuni di loro, considerarono che i sumeri fossero gli
antenati del popolo ebraico.”7
È all’interno di questo periodo che c’è la causa rivoluzionaria che avrebbe generato l’umiliante indifferenza dei sumerologi: «[…]che i sumeri fossero gli antenati del popolo ebraico».
Ma questa, al momento, costituisce solo un sospetto che, sebbene forte,
non è certezza. La nostra indagine quindi non è terminata, ma forse
siamo sulla strada giusta che ci porta alla soluzione che, come vedremo
tra poco, è ormai ad un passo da noi.
Riflettiamo.
Abbiamo detto “umiliante indifferenza dei sumerologi”. Se questo
atteggiamento fosse verità e non sospetto, in quale miglior contesto
coerente troverebbe allocazione se non in quel conflitto
archeologico-letterario indicato come “questione sumerica”?
In
sintesi in quel contesto, nel 1857, fu finalmente decifrata la
scrittura cuneiforme e decretata la nascita dell’assiriologia;
l’eccezionalità dell’avvenimento avrebbe cambiato, da quel momento, la
conoscenza storica di tutta l’antica area mediorientale e, quel che più
contava, della conoscenza delle origini della civiltà umana. Come già
detto in precedenza, in quel tempo, in Europa iniziavano a soffiare i
primi venti antisemiti; con il passare del tempo, tra i
ricercatori prese sempre più terreno la persuasione che la lingua di una
parte dei testi babilonesi e assiri non fosse semita. Quei
ricercatori, avversi alla nuova teoria di Kramer che dava alla scrittura
sumerica ed al popolo che la espresse un’origine semita, giunsero
perfino a negare l’esistenza della lingua sumerica, se non addirittura a
negare l’esistenza del popolo sumero stesso. Una posizione, questa, che
non fu totalmente vincente, ma che per il mondo accademico degli
orientalisti diventò un fatto deciso, accettato e definitivo: la
scrittura, il suo linguaggio ed i loro padri Sumeri non erano semitici.
Ci
siamo. Il cerchio sta per chiudersi. Siamo finalmente giunti al
compromesso di fine conflitto: per i Sumeri andava bene la gloria, il
merito, la gratitudine per aver inventato la scrittura ancor prima degli
egiziani, nonché l’ammirazione per il suo straordinario sapere. Ma
questo popolo non poteva e soprattutto “non doveva assolutamente essere
semita”.
Per
contro, due assiriologi di fama mondiale e competenza universalmente
riconosciuta, Arno Poebel nel 1941, Samuel Noah Kramer nel 1963, con
coraggio, coerenza e indiscussa capacità professionale, pubblicarono la
loro straordinaria scoperta circa l’origine degli inventori della
scrittura adducendo, prove storiche e filologiche alla mano, che i
Sumeri:
-
sarebbero i discendenti del biblico Shem figlio di Noè, superstite del diluvio;
-
si insediarono nella Mesopotamia meridionale in quel territorio che, per la loro presenza, prese il nome di “Terra di Shumer” (la biblica Shinar);
-
contrariamente al pensiero convenzionale di quel momento, erano evidentemente un popolo semita.
Rivelazioni sconcertanti? No assolutamente, tutt’altro.
Esse
segnano il progresso della conoscenza, lo scioglimento dei dubbi, la
soluzione di un enigma. Eppure, al tempo furono “private dell’ossigeno
della pubblicità.”8
Era
il 1941. L’Europa era in piena seconda guerra mondiale e
l’anti-semitismo era alla sua massima espressione. Un antisemitismo che,
nonostante l’origine del termine, non si riferisce all’odio rivolto a
tutte le popolazioni semitiche bensì all’odio ed alla discriminazione
unicamente verso gli Ebrei. E “Shem” era il padre di tutti gli Ebrei.
Lascio a voi le considerazioni finali che sì, in questo caso, sono davvero sconcertanti.
Proprietà letteraria riservata.
Fonte: Schiavi degli Dei – l’alba del genere umano.
© 2009 Biagio Russo
© 2010 Drakon edizioni
© 2010 Drakon edizioni
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