Italia, emergenza caro-benzina
Alla fine del 2011 i prezzi più alti d’Europa
Alla fine del 2011 i prezzi più alti d’Europa
Oggi un litro di verde costa 1,747 euro. Atteso per giovedì il confronto con le cifre del resto del Continente che probabilmente confermerà quanto emerso a dicembre. Sulla situazione pesano l'estesa rete di distributori (il doppio della Germania) e le tasse che incidono per oltre la metà sul prezzo finale
Cresce ancora il prezzo della benzina e montano, di pari passo, le polemiche sulla persistente spirale inflattiva in attesa di un intervento di liberalizzazione ancora tutto da decifrare. Un litro di verde dal distributore, rileva oggi La Staffetta Quotidiana, costa in media 1,747 euro, un dato che evidenzia, da lunedì, un aumento al netto di accisa e Iva di 6,42 euro per mille litri per un complessivo +0,93%. In salita, ovviamente, anche diesel (+1,17%) e gpl (+0,76%). Atteso per giovedì il confronto con le cifre del resto del Continente e con le medie ponderate Ue che rischia di confermare quanto già emerso lo scorso 19 dicembre con la pubblicazione dei dati del Ministero dello Sviluppo economico: alla fine del 2011 la benzina italiana era la più cara d’Europa.
Venti giorni fa, un litro di benzina nella Penisola si pagava 1,673 euro, una cifra superiore a quella sborsata dagli automobilisti di Grecia (1,643) e Olanda (1,623), rispettivamente seconda e terza nella poco invidiabile classifica europea. Un primato abbastanza inquietante se si pensa che appena un anno prima ci piazzavamo al sesto posto della graduatoria. L’unica consolazione viene per il momento dal cosiddetto “stacco” dalla media europea pari, nell’ultima rilevazione, a 3,9 centesimi per la benzina e 4,1 per il gasolio, decisamente al di sotto dei massimi annuali toccati ad agosto (5,7 e 4,7 rispettivamente). Ma il dato, si diceva, potrebbe segnare un peggioramento nel calcolo di giovedì.
Sulla situazione italiana pesano almeno due tipi di fattori. Il primo è strutturale e chiama in causa l’efficienza stessa della distribuzione. Un anno fa, erano operative in Italia circa 24mila stazioni di servizio, il doppio rispetto alla Germania. Come dire che le singole pompe erogano in media una quantità inferiore di benzina, gasolio e Gpl con riduzione dei rendimenti di scala e conseguente aumento dei costi. Il secondo è invece contingente e fa riferimento alla componente fiscale. Le tasse (accise + iva) pesano in Italia per oltre la metà del prezzo finale. Il costo del carburante al netto delle imposte risulta infatti superiore in altri Paesi caratterizzati però da un regime più favorevole. Un esempio su tutti: al 19 dicembre scorso un litro di verde al netto delle tasse costava 72,6 centesimi a Malta contro i 67,9 pagati in Italia. Ma il prezzo pagato presso un distributore maltese non superava in media gli 1,41 euro contro gli 1,673 dell’Italia. Il paragone può sembrare scontato ma resta utile per capire il peso di una tassazione che continua ad incidere sul costo dei carburanti e quindi, al tempo stesso, sul prezzo di tutti quei beni che vengono trasportati su strada per essere distribuiti.
In una nota congiunta, Federconsumatori e Adusbef hanno stimato in 192 euro annui il rincaro sostenuto dagli automobilisti e in 161 quello scaricato sui generi alimentari a causa degli aumenti dei carburanti e delle tariffe autostradali. Una stima che potrebbe essere corretta al rialzo se le tensioni presenti sul mercato dovessero confermarsi anche nel lungo periodo. Da un lato c’è il momento critico vissuto dal colosso elvetico Petroplus che ha annunciato la chiusura, si spera momentanea, di tre impianti di raffinazione europei, dall’altro la debolezza dell’euro che continua a perdere terreno sul dollaro, la valuta di scambio del petrolio.
Ad animare il dibattito, in questi giorni, c’è la spasmodica attesa per l’annuncio di nuovi provvedimenti di liberalizzazione del settore italiano, ennesimo effetto di quella dottrina Monti che dovrebbe costituire la base del piano di crescita del Paese. Dai taxi alle farmacie nessuno sembra escluso dalle nuove norme, ma sul fronte dei carburanti resta ancora molto da chiarire. Tra le proposte più discusse c’è l’introduzione delle cosiddette pompe multimarca, distributori in grado di fornire carburanti di diversi produttori. L’ipotesi è tuttora allo studio ma gli ostacoli non mancano. La grande maggioranza degli impianti italiani, infatti, è di proprietà delle stesse compagnie ed è offerto ai gestori in comodato d’uso. A meno di non illudersi che un grande produttore possa iniziare a commercializzare benzina rivale sul proprio impianto, dunque, occorrerà apportare significative modifiche normative capaci di rivoluzionare il mercato italiano. Una strada tortuosa e ad oggi ancora molto lunga.
Venti giorni fa, un litro di benzina nella Penisola si pagava 1,673 euro, una cifra superiore a quella sborsata dagli automobilisti di Grecia (1,643) e Olanda (1,623), rispettivamente seconda e terza nella poco invidiabile classifica europea. Un primato abbastanza inquietante se si pensa che appena un anno prima ci piazzavamo al sesto posto della graduatoria. L’unica consolazione viene per il momento dal cosiddetto “stacco” dalla media europea pari, nell’ultima rilevazione, a 3,9 centesimi per la benzina e 4,1 per il gasolio, decisamente al di sotto dei massimi annuali toccati ad agosto (5,7 e 4,7 rispettivamente). Ma il dato, si diceva, potrebbe segnare un peggioramento nel calcolo di giovedì.
Sulla situazione italiana pesano almeno due tipi di fattori. Il primo è strutturale e chiama in causa l’efficienza stessa della distribuzione. Un anno fa, erano operative in Italia circa 24mila stazioni di servizio, il doppio rispetto alla Germania. Come dire che le singole pompe erogano in media una quantità inferiore di benzina, gasolio e Gpl con riduzione dei rendimenti di scala e conseguente aumento dei costi. Il secondo è invece contingente e fa riferimento alla componente fiscale. Le tasse (accise + iva) pesano in Italia per oltre la metà del prezzo finale. Il costo del carburante al netto delle imposte risulta infatti superiore in altri Paesi caratterizzati però da un regime più favorevole. Un esempio su tutti: al 19 dicembre scorso un litro di verde al netto delle tasse costava 72,6 centesimi a Malta contro i 67,9 pagati in Italia. Ma il prezzo pagato presso un distributore maltese non superava in media gli 1,41 euro contro gli 1,673 dell’Italia. Il paragone può sembrare scontato ma resta utile per capire il peso di una tassazione che continua ad incidere sul costo dei carburanti e quindi, al tempo stesso, sul prezzo di tutti quei beni che vengono trasportati su strada per essere distribuiti.
In una nota congiunta, Federconsumatori e Adusbef hanno stimato in 192 euro annui il rincaro sostenuto dagli automobilisti e in 161 quello scaricato sui generi alimentari a causa degli aumenti dei carburanti e delle tariffe autostradali. Una stima che potrebbe essere corretta al rialzo se le tensioni presenti sul mercato dovessero confermarsi anche nel lungo periodo. Da un lato c’è il momento critico vissuto dal colosso elvetico Petroplus che ha annunciato la chiusura, si spera momentanea, di tre impianti di raffinazione europei, dall’altro la debolezza dell’euro che continua a perdere terreno sul dollaro, la valuta di scambio del petrolio.
Ad animare il dibattito, in questi giorni, c’è la spasmodica attesa per l’annuncio di nuovi provvedimenti di liberalizzazione del settore italiano, ennesimo effetto di quella dottrina Monti che dovrebbe costituire la base del piano di crescita del Paese. Dai taxi alle farmacie nessuno sembra escluso dalle nuove norme, ma sul fronte dei carburanti resta ancora molto da chiarire. Tra le proposte più discusse c’è l’introduzione delle cosiddette pompe multimarca, distributori in grado di fornire carburanti di diversi produttori. L’ipotesi è tuttora allo studio ma gli ostacoli non mancano. La grande maggioranza degli impianti italiani, infatti, è di proprietà delle stesse compagnie ed è offerto ai gestori in comodato d’uso. A meno di non illudersi che un grande produttore possa iniziare a commercializzare benzina rivale sul proprio impianto, dunque, occorrerà apportare significative modifiche normative capaci di rivoluzionare il mercato italiano. Una strada tortuosa e ad oggi ancora molto lunga.
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