Segnaliamo una riflessione sui quesiti referendari di alto profilo per lucidità, correttezza e chiarezza. A nostro modesto avviso si tratta di un articolo di grande giornalismo, di quel giornalismo che ragiona con onestà intellettuale e che non ha alcuna reticenza. Che da le notizie perché le deve dare, perché ha come unico riferimento il lettore.
Se eviti l’una caschi nell’altra. Anche se, referendum per referendum, puoi scegliere cosa “scotta” di più.
NUCLEARE, cioè installare prima o poi in Italia centrali per produrre energia tramite la tecnologia nucleare.
La “padella” è correre il rischio e/o sfruttare l’opportunità. Padella bollente e ustionante perché il rischio del nucleare si moltiplica in un paese come l’Italia dove costruire ospedali e gallerie di autostrade con il cemento impastato di sabbia non è un’eccezione.
Rischio moltiplicato dalla consuetudine della malavita organizzata di occupare e controllare il settore del “movimento terra” e relativi appalti e aziende. Rischio moltiplicato dalla certezza assodata per cui ogni opera pubblica costa in Italia tre, cinque, dieci volte di più che in ogni altro paese. Indipendentemente da quanto sia o no sicuro il nucleare, è l’Italia ad essere un paese poco “sicuro”. Di sicuro è che il nucleare in Italia si trasformerebbe in una greppia di tangenti e “stecche”, in un festival del subappalto. Dunque è più prudente non farlo in Italia il nucleare che da noi porta un fall-out sicuro: la corruzione e lo sperpero di denaro pubblico.
E la “brace”, qual è la brace del nucleare? E’ ritrovarsi con un paese che non sa e non vuole sapere con quale energie alimentarsi nel prossimo decennio e oltre.
Un piano energetico non si sono azzardati a proporlo davvero nè i governi di centro sinistra, men che mai quello di Berlusconi. Eliminato il nucleare, resta il gas. E a gas l’Italia già sostanzialmente va, al punto che, come è stato detto: “Quando accendi l’interruttore della luce è come se aprissi il rubinetto del gas”. Ma nessuno ha detto dove mettere i rigassificatori, i magazzini del gas. E nessuno li vuol far mettere in casa, Brindisi insegna. Allora il carbone? Men che mai, come insegna Porto Tolle.
Allora le rinnovabili? Negli ultimi anni hanno goduto di incentivi quattro, dieci volte superiori ad ogni altro paese d’Europa. Costano, stracostano e soprattutto l’obiettivo massimo raggiungibile è quello del 20 per cento del fabbisogno energetico. E l’altro ottanta per cento?
La “brace” è quella di un paese che si illude che l’energia venga dalla provvidenza, tra un po’ qualcuno sosterrà che l’energia è come l’acqua: un bene naturale e una risorsa garantita alla stregua dei naturali diritti.
La “padella”, nella padella ci caschi e subito ti frigge se voti No al referendum sul nucleare. La “brace” ti brucia a fuoco lento ma inesorabile se voti Sì. Comunque puoi scegliere con animo sereno: il nucleare in Italia non si sarebbe mai fatto e mai si farà. Anche non ci fosse stata Fukushima e anche non ci fosse il referendum. Anche prima non c’era una Regione, un Governatore, un Comune, una popolazione che avrebbe fatto costruire sul suo territorio una centrale. I governatori di centro destra si erano inventati il sì al nucleare ma non nella mia regione perché “autosufficiente” quanto a energia. Una balla di successo. I governatori di centro sinistra si appellavano alla Costituzione e al federalismo, insomma decide la Regione e non lo Stato centrale.
Appello valido grazie alla follia di una legge del centro sinistra che colloca l’energia tra le materie “comuni” in cui Stato e Regioni decidono insieme. Non si sarebbe mai fatto il nucleare in Italia, se non con l’esercito che nessun governo avrebbe mai ovviamente impiegato. Non si riesce a fare la Tav, figurarsi il nucleare. Quindi sul nucleare il meno peggio è la brace del Sì.
ACQUA, qui i referendum son due. La “padella” in cui si frigge e si viene rosolati se si vota No è il mantenimento in vita di una legge obliqua. Legge detta Ronchi che non è vero “privatizza” l’acqua, questa è una balla, anche se balla di travolgente successo. La legge Ronchi è obliqua perché obbliga e non consente che i privati possano entrare nella gestione, gestione e non proprietà dell’acqua.
Obbligo a data certa e fissata. Le ragioni di questo obbligo sono perché altrimenti i partiti politici e i governi locali che oggi gestiscono e lottizzano le aziende del ciclo dell’acqua mai e poi mai mollerebbero l’osso. Però obbligo è il contrario di mercato, obbligo è disposizione obliqua e meritevole di sospetto.
Tanto più che la legge non prevede una Autorità di garanzia e controllo. Senza di questa la legge è ancora più obliqua: ovunque si consente ai privati di gestire pubblico servizio c’è un’Autorità che verifica l’efficienza, i costi, le tariffe e la qualità e costanza della fornitura stessa del servizio. Se voti No ti tieni la legge obliqua.
E la “brace”, qual è la brace che ti si accende sotto il sedere se voti Sì? La brace è che votando Sì caschi dall’acqua gestita dai privati nell’acqua lottizzata dai partiti.
Le aziende di natura e nomina politica non avranno più neanche il fastidio di indire gare per l’assegnazione del servizio idrico, gare non ce ne saranno più: ci penseranno le “Asl dell’acqua”, ci sono già e si chiamano Ato. La brace è che senza gare il servizio sarà costoso e inefficiente, molto più di quanto non sia. E la brace è anche l’illusione, il miraggio di aver “scacciato mammona”, cioè eliminato il denaro e il profitto dalla gestione dell’acqua. Si vota Sì anche per abolire la norma che prevece un guadagno per chi fornisce l’acqua, la porta dentro le case, la depura, la controlla, la ricicla. Ma eliminare quel guadagno è solo un atto di fede, di fede ingenua, miope e alquanto mistica. Poichè l’acqua potrà in natura anche essere gratis, ma gratis non è la gestione del servizio, poichè un costo c’è per acquedotti, conduttori, depuratori che madre natura non fornisce come optional, quel costo gli utenti-cittadini lo devono pagare.
Nessuno lavora gratis, neanche le aziende pubbliche e, se non ci sono pasti gratis, non esistono neanche docce gratis. Se quel costo non lo paghi sotto forma di tariffa e bolletta, lo paghi sotto forma di tassa. Le aziende pubbliche se andranno in deficit esiteranno ad aumentare tariffe e bollette per ragioni di “popolarità”.
E busseranno cassa a Regioni, Comuni, Stato e Fisco per ripianare le loro perdite e per trovare i soldi per acquedotti, fognature, depuratori…Soldi che i cittadini pagheranno in forma di tasse, potendo consolarsi con lo “occhio non vede, cuore non duole”. Oppure le aziende pubbliche, in assenza di soldi, non faranno un bel nulla e si terrano conduttore sfondate, tubi che perdono…Già fanno così, lo fanno da 60/100 miliardi: tanto finora è costato il non fare e tanto costa rendere il servizio idrico in Italia democraticamente efficiente e garantito per tutti.
Considerazione a margine: lo slogan “acqua pubblica” è un capolavoro di marketing e comunicazione, chi l’ha inventato ha battuto Berlusconi sul suo terreno, il monopolio del populismo in Italia non c’è. Quindi sull’acqua il meno peggio è la “padella” del No.
GIUSTIZIA, qui il referendum si chiama legittimo impedimento ma è di giustizia che si tratta, giustizia in concreto e in astratto. Il legittimo impedimento che c’era prima della sentenza della Corte Costituzionale che lo ha dimezzato meritava non un referendum ma una sollevazione popolare. Stabiliva infatti che il governante era, a suo insindacabile giudizio e per diritto di potere acquisito, sopra e fuori dalla legge. Alla giustizia che lo chiamava poteva rispondere con una pernacchia mascherata appena da impegno in agenda.
La “padella” in cui infliggi ustioni di massimo grado al principio dell’uguaglianza davanti alla leggi se voti No è quella del mantenimento non tanto di una legge, scade ad ottobre, ma di un principio di esenzione. Con il No mantieni in vita il principio della legge “ad personam”: tremenda padella.
E la “brace”, qual è la brace che ancora scoppietta se voti Sì? Che Berlusconi fa votare al suo Parlamento e alla sua maggioranza la “prescrizione breve” e così cancella i suoi processi e tanti altri processi. Smontaggio della giustizia e dello Stato come effetto indiretto di cui il Sì non ha responsabilità ma che pure si produce. Sulla giustizia la brace del Sì bruciacchia alquanto, ma è molto meno peggio della padella del No.
Mino Fuccillo
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