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martedì 28 aprile 2020

Michael Jackson: 10 anni dopo, rivelate foto inedite della stanza




Le immagini fanno parte di “Killing Michael Jackson”, un documentario che ripercorre la morte del cantante e che ha come protagonisti i detective che indagarono sul caso
Era il 25 giugno 2009: il corpo di Michael Jackson, il “Re del pop”, fu trovato senza vita dal medico che se ne prendeva cura. Il cantante se ne andò così, in silenzio, lasciando dietro sé una scia di misteri e aneddoti mai chiariti. Ma soprattutto, se ne andò donando un’eredità musicale che continua a far cantare, ballare, sognare le persone ad ogni latitudine.Killing Michael Jackson | Una delle siringhe trovate sulla scena della morte
La stanza sottosopra
Dieci anni fa, la camera della casa di North Carolwood Drive a Holmby Hills, Los Angeles, era nel caos. Nel documentario Killing Michael Jackson, atteso in Italia e uscito nel Regno Unito il 22 giugno di quest’anno, sono mostrate per la prima volta immagini inedite della scena della morte. Siringhe, enormi quantitativi di farmaci, un inquietante bambolotto e frasi scritte ovunque.
«C’erano post-it e pezzi di carta incollati con zelo in tutta la stanza – racconta il detective Orlando Martinez che fu tra i primi a indagare sulla morte di Jackson – inclusi porte e specchi. Non so se quelle frasi erano lettere o pensieri, alcune sembravano poesie. Ma ricordo che l’intera zona notte di quella casa era un disastro».Killing Michael Jackson | Accanto al corpo del cantante fu trovato un bambolotto
“Killing Michael Jackson”
Il documentario raccoglie le testimonianze dei tre detective di Los Angeles che seguirono da subito la morte del cantante e furono tra i primi a entrare nella camera da letto dove fu trovato morto. Orlando Martinez, Dan Myers e Scott Smith. «Sul letto c’erano un computer, una bambola e delle foto di bambini – racconta Martinez nel documentario – di certo non era una stanza adeguata per nessuna persona che deve ricevere un trattamento medico».
E aggiunge: «Trovammo tantissime medicine già aperte, come il Propofol. Intorno c’era ogni tipo di immondizia: aghi, bottiglie vuote, era davvero incredibile». Dopo l’autopsia svolta sul corpo, i risultati tossicologici indicarono che la causa della morte di Michael Jackson era dovuta a un’intossicazione acuta da Propofol, un potente anestetico generale, assunto in grandi quantità e insieme ad alcune benzodiazepine.Killing Michael Jackson | Il cantante è morto a causa di un’intossicazione acuta di Propofol e altre sostanze
Il decesso
Michale Jackson il 24 giugno tornò a casa a mezzanotte dopo aver provato in studio Thriller e Earth Song in vista dei concerti estivi. Il medico che lo seguiva da sei settimane, Conrad Murray, era in casa con lui. Raccontò di avergli somministrato a più riprese alcune benzodiazepine perché il cantante non riusciva ad addormentarsi. Così, alle 10:40 del 25 giugno 2009, Murray mise la maschera dell’ossigeno a Jackson e gli iniettò il potente anestetico Propofol.
Dopo pochi minuti, il medico tornò in camera e realizzò che, nonostante il cantante indossasse la maschera dell’ossigeno, la respirazione si era interrotta. Colto dal panico il medico provò un massaggio cardiaco, ma si rivelò inutile perché applicato su una superficie morbida come il letto. Solo un’ora e mezza più tardi, alle 12:21, Murray si decise a chiamare un’ambulanza. Ma non c’era più nulla da fare: il “Re del pop”, all’età di 50 anni, era morto intossicato dai farmaci.Killing Michael Jackson | La borsa medica appartenente al dott. Conrad Murray
La condanna
La morte fu classificata come omicidio colposo. Il giudice californiano Michael E. Pastor che portò avanti il processo definì le pratiche del dottor Murray come «pazzia medica». O ancora, «esperimenti in medicina che non possono essere tollerati». Per questo il medico fu dichiarato colpevole e il giudice comminò la massima pena possibile per il reato di omicidio involontario: quattro anni di reclusione nello Stato della California.
«Murray non solo non si è assunto nessuna responsabilità sulla morte di Jackson, non ha mai dimostrato nessun pentimento per una pratica quanto meno discutibile.



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