Immagino che ve la ricordiate tutti quanti, la storia del Pifferaio di Hamelin. Nel 1284, in Bassa Sassonia, la città di Hamelin viene invasa dai topi: uno sconosciuto si presenta al borgomastro, e assicura di poterla disinfestare. Il borgomastro gli da il permesso di procedere, e, al suono magico del piffero incantato, i topi effettivamente scompaiono: si lasciano guidare fino alle acque del fiume Weser, dove muoiono affogati. Tornato in città per reclamare il suo compenso, il pifferaio si vede sbattere la porta in faccia: adirato per il tradimento, allora, ricomincia a suonare il piffero. Ma questa volta, ad essere colpiti dall’incanto non sono i topi, bensì i bambini: ipnotizzati dalla musica fatata, tutti i piccoli di Hamelin seguono il pifferaio… e non faranno mai più ritorno.
Una bella fiaba, a parte tragico finale. Conosciuta; molto popolare. Ma siamo certi che sia solo una storiella? Si potrebbe pensare che sia una favoletta edificante, o l’invenzione di qualche scrittore astuto: ma se andiamo ad Hamelin, a leggere una vera lapide, che esiste per davvero, e che è stata scritta all’inizio del Seicento, sentiamo dei brividi freddi, giù giù lungo la schiena.
Anno 1284 am dage Johannis et Pauli
war der 26. junii
Dorch einen piper mit allerlei farben bekledet
gewesen CXXX kinder verledet binnen Hamelen gebo[re]n
to calvarie bei den koppen versore.
Non avete sentito nessun brivido freddo giù giù lungo la schiena? Okay, proviamo con la traduzione:
Nell’anno 1284, nel giorno dei Santi Giovanni e Paolo
– era il 26 di giugno –
da un pifferaio col vestito multicolore
furono sedotti 130 bambini nati ad Hamelin,
e persi nel luogo dell’esecuzione, vicino alle colline.
Inquietante, non è vero?
Anche perché questa non è l’unica attestazione di questa leggenda (che, più che una leggenda, ci viene presentata in realtà come un vero fatto storico): la prima fonte è datata1440; Jobus Fincelius ce ne parla nel 1556 identificando il pifferaio con il diavolo; nel 1605, l’antiquario Richard Rowland Vestergan cita di nuovo la vicenda e ipotizza che i bambini scomparsi siano in realtà andati a finire in Transilvania…
… e mancavano ancora molti, molti anni all’operazione editoriale dei fratelli Grimm, che ha diffuso la fiaba in tutto il mondo.
Peggio ancora, ad incupire ancor di più i toni oscuri della vicenda, è una antica vetrata a mosaico della chiesa di Hamelin, riconducibile alla metà del Trecento. Oggi la vetrata non esiste più – è andata distrutta nel 1660 – ma viene ben descritta in numerosi documenti a partire dal XIV secolo: raffigurava un individuo colorato, colto nell’atto di suonare il piffero…
… e seguito da una miriade di bimbi, vestiti di bianco.
Si ritiene che la vetrata sia stata commissionata in ricordo di un tragico evento, realmente verificatosi nella città di Hamelin. E – se all’appello mancava ancora una qualche informazione, per rendere sempre più inquietante la nostra storia – posso assicurarvi che, alla luce delle ricerche recentemente svoltesi, è stata fatta una scoperta incontrovertibile. Se c’è qualcosa di vero, nella fiaba del pifferaio, si tratta certamente della scomparsa dei bambini: i topi non sono mai citati nelle fonti più antiche, e vengono aggiunti alla vicenda solo a partire dal tardo Cinquecento.
Insomma. Pare proprio che, ad Hamelin, sia successo qualcosa di drammatico, il 26 giugno del 1284. Ma che cosa? Esclusa l’ipotesi di un magico pifferaio che strega i fanciulli per mezzo d’un incantesimo, le teorie avanzate dagli studiosi sono sostanzialmente quattro.
Ipotesi numero uno: i ragazzi di Hamelin abbandonarono la città volontariamente, per fondare nuovi villaggi durante la colonizzazione della Germania occidentale. In alternativa, i ragazzini avrebbero potuto esser stati venduti, magari a un ricco mercante dell’area baltica: la pratica era diffusa, all’epoca, e gli inverni medievali erano lunghi e faticosi, con troppe bocche da sfamare…
Ipotesi numero due: un tragico incidente. Immaginate una disgrazia come quella di San Giuliano di Puglia: una frana, un terremoto, o un’altra tragica circostanza. La favola dei fratelli Grimm sostiene che i topi affogarono nelle acque del fiume Weser: e se questa fosse un’eco dal passato? Forse furono proprio i bambini di Hamelin, giocando sulle acque del fiume, a sparire tragicamente tra i suoi flutti…
Ipotesi numero tre: i bambini morirono per una qualche malattia. Isolati dal resto della città per evitare il pericolo di contagio, i fanciulli si spensero per una qualche epidemia: notando che i bambini ballavano alle spalle del pifferaio, qualcuno ha anche cercato di capire quale. Alcuni hanno pensato al ballo di San Vito, piuttosto comune in quel periodo; altri hanno pensato alla corea di Huntington (sì: quella di Tredici del Dottor House), che si manifesta con un caratteristico disturbo del movimento.
Il pifferaio, negli ultimi due casi, altri non sarebbe che la personificazione della Morte (peraltro in piena linea con il toposdella danza macabra). Nel caso di una emigrazione volontaria, o di una deportazione, il pifferaio andrebbe invece identificato con l’uomo che, materialmente, arrivò a Hamelin per prendere in custodia i bimbi…
… ma come vi dicevo prima, c’è ancora una quarta ipotesi, che io trovo sommamente suggestiva. Nel 1212, e quindi non troppianni prima della data incriminata, ci fu in Germania un grande movimento di persone, passato romanticamente alla Storia sotto il nome di “Crociata dei fanciulli”. Avviato da un pastore tedesco di nome Nikolaus, il movimento popolare chiamò a raccolta centinaia e centinaia di poveri ed inermi, con lo scopo di raggiungere Gerusalemme. Varcate le Alpi nella primavera del 1212, circa settemila persone – fra cui, tradizionalmente, un buon numero di fanciulli – tentarono di imbarcarsi verso la Terra Santa. Nessuno di loro raggiunse Gerusalemme, e la maggior parte di loro non tornò nemmeno a casa: alcuni morirono durante il viaggio; alcuni furono catturati dai mercanti di schiavi, e fatti prigionieri. Il reale episodio storico è poi passato alla leggenda tramite cronache pesantemente romanzate, al punto tale da trovar asilo anche fra le pagine della Pitzorno o di Bertold Brecht… e allora, perché non supporre che un’eco di questo viaggio senza ritorno non sia rimasta anche nelle cronache di Hamelin?
L’unica cosa certa è che, ad Hamelin, qualcosa di oscurodev’essere accaduto. Per forza.
E se diamo retta a Shiela Harty, che commenta una cronaca cittadina di Hamelin non citata in altre fonti, siamo davvero colti da un brivido sinistro. A detta della scrittrice, le cronache medievali della città di Hamelin si aprono con una laconica premessa, ch’è già tutta un programma:
“Sono passati dieci anni, da quando i nostri figli se ne sono andati…”.
Una bella fiaba, a parte tragico finale. Conosciuta; molto popolare. Ma siamo certi che sia solo una storiella? Si potrebbe pensare che sia una favoletta edificante, o l’invenzione di qualche scrittore astuto: ma se andiamo ad Hamelin, a leggere una vera lapide, che esiste per davvero, e che è stata scritta all’inizio del Seicento, sentiamo dei brividi freddi, giù giù lungo la schiena.
Anno 1284 am dage Johannis et Pauli
war der 26. junii
Dorch einen piper mit allerlei farben bekledet
gewesen CXXX kinder verledet binnen Hamelen gebo[re]n
to calvarie bei den koppen versore.
Non avete sentito nessun brivido freddo giù giù lungo la schiena? Okay, proviamo con la traduzione:
Nell’anno 1284, nel giorno dei Santi Giovanni e Paolo
– era il 26 di giugno –
da un pifferaio col vestito multicolore
furono sedotti 130 bambini nati ad Hamelin,
e persi nel luogo dell’esecuzione, vicino alle colline.
Inquietante, non è vero?
Anche perché questa non è l’unica attestazione di questa leggenda (che, più che una leggenda, ci viene presentata in realtà come un vero fatto storico): la prima fonte è datata1440; Jobus Fincelius ce ne parla nel 1556 identificando il pifferaio con il diavolo; nel 1605, l’antiquario Richard Rowland Vestergan cita di nuovo la vicenda e ipotizza che i bambini scomparsi siano in realtà andati a finire in Transilvania…
… e mancavano ancora molti, molti anni all’operazione editoriale dei fratelli Grimm, che ha diffuso la fiaba in tutto il mondo.
Peggio ancora, ad incupire ancor di più i toni oscuri della vicenda, è una antica vetrata a mosaico della chiesa di Hamelin, riconducibile alla metà del Trecento. Oggi la vetrata non esiste più – è andata distrutta nel 1660 – ma viene ben descritta in numerosi documenti a partire dal XIV secolo: raffigurava un individuo colorato, colto nell’atto di suonare il piffero…
… e seguito da una miriade di bimbi, vestiti di bianco.
Si ritiene che la vetrata sia stata commissionata in ricordo di un tragico evento, realmente verificatosi nella città di Hamelin. E – se all’appello mancava ancora una qualche informazione, per rendere sempre più inquietante la nostra storia – posso assicurarvi che, alla luce delle ricerche recentemente svoltesi, è stata fatta una scoperta incontrovertibile. Se c’è qualcosa di vero, nella fiaba del pifferaio, si tratta certamente della scomparsa dei bambini: i topi non sono mai citati nelle fonti più antiche, e vengono aggiunti alla vicenda solo a partire dal tardo Cinquecento.
Insomma. Pare proprio che, ad Hamelin, sia successo qualcosa di drammatico, il 26 giugno del 1284. Ma che cosa? Esclusa l’ipotesi di un magico pifferaio che strega i fanciulli per mezzo d’un incantesimo, le teorie avanzate dagli studiosi sono sostanzialmente quattro.
Ipotesi numero uno: i ragazzi di Hamelin abbandonarono la città volontariamente, per fondare nuovi villaggi durante la colonizzazione della Germania occidentale. In alternativa, i ragazzini avrebbero potuto esser stati venduti, magari a un ricco mercante dell’area baltica: la pratica era diffusa, all’epoca, e gli inverni medievali erano lunghi e faticosi, con troppe bocche da sfamare…
Ipotesi numero due: un tragico incidente. Immaginate una disgrazia come quella di San Giuliano di Puglia: una frana, un terremoto, o un’altra tragica circostanza. La favola dei fratelli Grimm sostiene che i topi affogarono nelle acque del fiume Weser: e se questa fosse un’eco dal passato? Forse furono proprio i bambini di Hamelin, giocando sulle acque del fiume, a sparire tragicamente tra i suoi flutti…
Ipotesi numero tre: i bambini morirono per una qualche malattia. Isolati dal resto della città per evitare il pericolo di contagio, i fanciulli si spensero per una qualche epidemia: notando che i bambini ballavano alle spalle del pifferaio, qualcuno ha anche cercato di capire quale. Alcuni hanno pensato al ballo di San Vito, piuttosto comune in quel periodo; altri hanno pensato alla corea di Huntington (sì: quella di Tredici del Dottor House), che si manifesta con un caratteristico disturbo del movimento.
Il pifferaio, negli ultimi due casi, altri non sarebbe che la personificazione della Morte (peraltro in piena linea con il toposdella danza macabra). Nel caso di una emigrazione volontaria, o di una deportazione, il pifferaio andrebbe invece identificato con l’uomo che, materialmente, arrivò a Hamelin per prendere in custodia i bimbi…
… ma come vi dicevo prima, c’è ancora una quarta ipotesi, che io trovo sommamente suggestiva. Nel 1212, e quindi non troppianni prima della data incriminata, ci fu in Germania un grande movimento di persone, passato romanticamente alla Storia sotto il nome di “Crociata dei fanciulli”. Avviato da un pastore tedesco di nome Nikolaus, il movimento popolare chiamò a raccolta centinaia e centinaia di poveri ed inermi, con lo scopo di raggiungere Gerusalemme. Varcate le Alpi nella primavera del 1212, circa settemila persone – fra cui, tradizionalmente, un buon numero di fanciulli – tentarono di imbarcarsi verso la Terra Santa. Nessuno di loro raggiunse Gerusalemme, e la maggior parte di loro non tornò nemmeno a casa: alcuni morirono durante il viaggio; alcuni furono catturati dai mercanti di schiavi, e fatti prigionieri. Il reale episodio storico è poi passato alla leggenda tramite cronache pesantemente romanzate, al punto tale da trovar asilo anche fra le pagine della Pitzorno o di Bertold Brecht… e allora, perché non supporre che un’eco di questo viaggio senza ritorno non sia rimasta anche nelle cronache di Hamelin?
L’unica cosa certa è che, ad Hamelin, qualcosa di oscurodev’essere accaduto. Per forza.
E se diamo retta a Shiela Harty, che commenta una cronaca cittadina di Hamelin non citata in altre fonti, siamo davvero colti da un brivido sinistro. A detta della scrittrice, le cronache medievali della città di Hamelin si aprono con una laconica premessa, ch’è già tutta un programma:
“Sono passati dieci anni, da quando i nostri figli se ne sono andati…”.
Illustrazione di Kate Greenaway
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