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martedì 29 marzo 2011

Misteri sulla guerra in Libia

Fonte:
www.siciliainformazione.com

Misteri. Molti, troppi. Volano sui cieli d’Italia ma è come se volassero sulla Libia. Quali sono le regole d’ingaggio degli aerei militari italiani?


Chi coordina le operazioni?

Perché il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, riferisce che il comando strategico delle operazioni è Capodichino, sede militare dell’Alleanza atlantica per il versante sud del Mediterraneo, mentre Sarkozy, e non solo lui, dicono che la nato non deve metterci naso nell’intervento militare in Libia?

Per quale ragione i giornali e gli uomini più vicini al premier, esterni alle istituzioni, illustrano senza remore la loro contrarietà all’escalation militare e filtrano imbarazzo, disagio e fastidio da parte del Capo del governo, quasi che stesse subendo le decisioni internazionali?

Perché Frattini e La Russa vengono definiti degli interventisti dallo stesso Berlusconi secondo voci giudicate attendibili, come se avessero voluto mettere il governo sul fatto compiuto, facendo passi avanti non autorizzati o comunque privi del parere dell’esecutivo o della maggioranza?


E andando sul terreno del conflitto, perché mai i Tornado italiani tornano indietro dopo avere sorvolato i cieli di Bengasi senza avere svolto alcuna attività militare e c’è un ufficiale dell’aereonautica che viene incaricato di riferire che, contrariamente a quanto il ministro della Difesa aveva comunicato – la prima operazione militare sulla Libia di cacciabombardieri italiani – non si è sparato un colpo?

Perché un rimorchiatore italiano si trovava nel porto di Tripoli dopo l’inizio del conflitto, esponendosi alle prevedibili ritorsioni del regime?

Tanti interrogativi senza risposta. Cominciamo dal primo quesito, il comando Nato. I francesi lo contestano, perché non vogliono che l’Alleanza atlantica venga coinvolta in un conflitto contro gli arabi. Una spiegazione che non spiega nulla. Che cosa cambia, dal momento che le potenze occidentali sono tutte impegnate al massimo livello,a cominciare dalla Francia, per proseguire con la Gran Bretagna, il Canada, gli Stati Uniti, la Danimarca ed altri?

La Turchia si è messa di traverso e la Germania nicchia? Ma la prima pretende solo che si faccia chiarezza sugli obiettivi e sulla interpetrazione della risoluzione Onu, che autorizza l’intervento militare. Basta prenderne atto ed accordarsi.

Gli Stati Uniti, infine. Il loro apporto nella prima fase di “Odissea all’Alba”, come l’hanno chiamata, è stato massiccio, impegnativo, efficace, ma vogliono rimanere in seconda fila dopo avere per bocca del presidente Obama richiesto di aiutare il popolo libico a liberarsi del rais, deplorando la sua sanguinosa repressione.

Gli Usa non vogliono il comando dell’operazione ma chiedono che questo comando ci sia per evitare che ognuno faccia di testa sua e che la Lega Araba, che ha sponsorizzato l’operazione bellica, si ritiri dalla partita perché c’è chi è andato al di là degli obiettivi prefissi. Conclusione: preferiscono rimanere defilati senza restare fuori dalla prima linea. E’ possibile che condividanoun comando centralizzato a Napoli restando fuori dalla Nato. 

Sarkozy non vuole avere le mani legate ed intende mantenere un ruolo di primo piano nell’intervento bellico, pensando all’oggi – le elezioni in Francia – e al domani, il dopo-Gheddafi.

Infine, i misteri di casa nostra. O il presidente del Consiglio ne sa una più del diavolo, è il re dell’intrigo e del doppio gioco, oppure gestisce l’intervento contro il beduino in perfetta solitudine, contestato dai suoi sponsor di sempre, a cominciare dai giornali – Libero e Il Giornale – Ferrara, Sgarbi ed altri. Siccome filtrano le voci di una sua contrarietà, c’è da ritenere che debba gestire due “assetti”, quello dell’intervento insieme con francesi, americani ed inglesi, e quello del non intervento – ovvero del piede sul freno – per mandare segnali ambigui al rais libico e a quello padano, contrariato anche lui per la piega che hanno avuto gli interventi.

Due fatti, inoltre, destano preoccupazioni: la notizia dell’uccisione da parte di un kamikaze, di uno dei figli del Colonnello, e il sequestro di un rimorchiatore con undici uomini (otto italiani,  quattro dei quali siciliani e tre indiani). Della morte del figlio di Gheddafi si sa poco e quel poco arriva dagli insorti, del “sequestro” dell’equipaggio si sa ancora meno. La possibilità che si tratti di una ritorsione viene presa in considerazione, seppure velatamente. Il fatto che l’assassinio del figlio di Gheddafi venga addebitato ad un kamikaze desta serie preoccupazioni. Sia la guerriglia cittadina, quanto le battaglie sul fronte non hanno segnalato alcun episodio di terrorismo.

C’è dell’altro. Le dichiarazioni dell’ufficiale dell’aereonautica che racconta di non avere sganciato bombe e di essere tornato indietro con il suo Tornado, insieme con gli altri, dopo un sorvolo “delicato” sul cielo di Bengasi, è un episodio stupefacente. Lo è quanto l’annuncio, qualche minuto dopo, della partenza dei Tornado dalla base aerea di Birgi.

Com’è possibile che si annunci, attraverso la tv satellitare, che sono partiti i cacciabombardieri italiani alla volta della Libia per un’azione bellica? E’ un annuncio che arriva agli italiani ed ai libici. Sono gli stessi cacciabombardieri che non hanno svolto alcuna azione bellica per ammissione di uno dei piloti, al ritorno.
Il ministro della Difesa ha dichiarato che non succederà più. Intanto è successo, ed è gravissimo che sia accaduto.

Molte cose non tornano. E’ un segno inequivocabile che si agitano pulsioni ed opzioni diverse a Roma e Milano. C’è chi tira il freno a mano e chi spinge l’acceleratore dentro l’Alleanza e dentro il governo italiano e lo stesso entourage del premier. Gioco delle due parti, secondo alcuni; sintomo di ambiguità e confusione secondo altri.

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