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giovedì 22 giugno 2023

Emanuela rapita dalla banda romanda per ricattare il Vaticano e costringerlo a restituire i fondi prestati dalla mafia per finanziare Solidarnosc?

 







Un labirinto di piste immaginarie e di depistaggi reali, un caso infinito capace di intrecciare i generi, cronaca nera e complesse trame geopolitiche sullo sfondo della declinante Guerra Fredda e dei poteri vaticani, con l’ombra dei servizi segreti italiani, della P2, della Mafia, del Kgb, dei Lupi grigi turchi, dell’internazionale pedofila e persino del principe del Lussemburgo, un ginepraio di versioni contrastanti, tra ipotesi di complotto e fervore mitomane. Probabilmente non sapremo mai cosa è realmente accaduto a Emanuela Orlandi, tutte le inchieste giudiziarie sulla scomparsa della ragazza hanno portato a un vicolo cieco e nessuna verità giudiziaria è mai venuta alla luce in quarant’anni di misteri. Tuttavia il filone di indagine più promettente e in fondo più verosimile è quello che vede coinvolto il cardinale Marcinkus, all’epoca dei fatti direttore dello Ior, la Banca vaticana, i fondi neri ai polacchi di Solidarnosc in chiave anti-sovietica e la Banda della Magliana. Sembra un patchwork di elementi suggestivi e scollegati, ma andiamo con ordine.

All’inizio degli anni 80 l’apparizione del sindacato Solidarnosc nei cantieri di Danzica guidato dal carismatico Lech Walesa fa scricchiolare il regime filosovietico del generale Jaruzelky, per il Vaticano con a capo un papa polacco e decisamente anticomunista sembra quasi fisiologico sostenere il movimento di Walesa che ormai conta nove milioni di aderenti. Il regista dell’operazione è Paul Casimir Marcinkus, americano di Chicago figlio di immigrati lituani salito in cima alle gerarchie vaticane con la direzione dell’istituto delle opere religiose: tramite il Banco Ambrosiano dell’amico Roberto Calvi, il “banchiere di Dio”, Marcinkus fa pompare milioni di dollari nelle casse di Solidarnosc attraverso operazioni opache son non chiaramente illecite, facendo rimbalzare il denaro per paradisi fiscali e filiali occulte di mezzo mondo, Panama, Bahamas, Lima, Managua prima di farlo arrivare a Varsavia. Quando si consuma il crack del Banco Ambrosiano con il “suicidio” di Calvi ritrovato impiccato sotto il ponte dei frati neri a Londra, si fanno avanti i creditori che non sono proprio dei cherubini.

Tra loro c’è Pippo Calò il “cassiere” di Cosa Nostra, giunto a Roma verso la fine degli anni 70, il quale aveva stretto un accordo con la banda della Magliana di Giuseppucci, Abbatino e “Renatino” De Pedis per la gestione e il monopolio dello spaccio di eroina nell’hinterland romano. Secondo questa interpretazione, ipotizzata dal giudice Rosario Priore, il rapimento della cittadina vaticana Emanuela Orlandi sarebbe stato un ricatto della Mafia che avrebbe usato i bravi ragazzi della Magliana allo scopo di riottenere i soldi prestati. Lo sostiene anche il pentito Antonio Mancini che avrebbe riconosciuto la voce del telefonista che il 28 giugno del 1983, sei giorni dopo il sequestro, chiamò casa Orlandi per dire di aver visto Emanuela senza però chiedere un riscatto: si tratterebbe di tale “Ruffetto”, un sicario al servizio di De Pedis. E lo ha confermato anche Maurizio Abbatino, “crispino”, tra i personaggi più influenti della Magliana: «Emanuela Orlandi fu rapita da De Pedis per i soldi che aveva dato a personaggi del Vaticano. Soldi finiti nelle casse dello IOR e mai restituiti. E non c'erano solo i miliardi dei Testaccini ma pure i soldi della mafia. L'omicidio di Michele Sindona e quello di Roberto Calvi sono legati al sequestro Orlandi. Se non si risolve il primo non si arriverà mai alla verità sul presunto suicidio di Calvi e sulla scomparsa della ragazza». A intorbidire le acque nel 2006 sopraggiunge però la testimonianza di Sabina Minardi, ex compagna di De Pedis che afferma di aver partecipato assieme ad alcuni elementi della banda al rapimento della ragazza che sarebbe stata nascosta per 15 giorni in un villino di Torvaianica sul litorale romano e poi in un appartamento del quartiere Monteverde.

La polizia ha confermato l’esistenza dell’appartamento di Monteverde di proprietà di Daniela Mobili, amica di Danilo Abbruciati altro esponente di spicco della banda. Che in realtà era un rifugio un nascondiglio usato da De Pedis ma nessuna prova che fosse anche la prigione della giovane Orlandi. Inoltre a un certo punto il racconto di Sabrina Minardi si tinge di particolari contraddittori: la donna accusa infatti Macinkus come mandante del sequestro «per mandare un messaggio a qualcuno sopra di loro», dicendo di aver assistito alla consegna della ragazza a un sacerdote avvenuta nella piazzola di un benzinaio a poche centinaia di metri dalla Città del Vaticano.

Due anni dopo Minardi cambia versione, ritrattando diversi dettagli: non ci fu nessuna consegna al sacerdote, Emanuela restò sempre nelle mani della banda e venne uccisa nel villino di Torvaianica per poi venire gettata in una betoniera. Insomma una serie di versioni incoerenti che hanno gettato totale discredito sulla testimonianza di Sabrina Minardi. I “ragazzi” della Magliana di certo avevano rapporti particolari con il Vaticano, in particolare De Pedis che conosceva personalmente il cardinale Casaroli e sarebbe in virtù di questa “amicizia” che la salma di Renatino fu seppellita nella basilica di Sant'Apollinare a Roma, onore riservato non certo ai membri di una banda criminale. Pare che si trattasse di una favore postumo a De Pedis che averva evitato ulteriori rappresaglie nei confronti del Vaticano.

fonte
https://www.ildubbio.news/giustizia/marcinkus-roberto-calvi-i-milioni-a-walesa-e-quei-brutti-ceffi-della-magliana-n84bao5f


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