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martedì 9 febbraio 2021

Coronavirus creato in laboratorio? Un genetista smonta lo Yan Report: «Più politico che scientifico»











Il genetista esperto di genomica comparata Marco Gerdol boccia lo “studio” pseudoscientifico sull’origine artificiale del virus



Recentemente abbiamo pubblicato una analisi del cosiddetto «Yan Report», lo «studio» della virologa Li-Meng Yan con il quale si vorrebbe dimostrare che il Sars-Cov-2 sia un virus «creato in laboratorio». Nell’articolo precedente di Open Fact-checking avevamo constatato diversi punti critici nella narrazione, dove non solo non veniva dimostrata la tesi, ma si evincevano anche elementi marcatamente ideologici – constatando, inoltre, i conflitti di interesse degli autori – per non parlare della scarsa qualità degli articoli scientifici riportati nelle references, ovvero la lista di fonti su cui si dovrebbe rifare un articolo degno di pubblicazione in una rivista che fa verificare le ricerche da degli esperti. Ci eravamo ad ogni modo riproposti di tornare sull’argomento, non appena avessimo ottenuto una analisi più approfondita da parte di esperti come il genetista Marco Gerdol.
Breve recap e introduzione

In breve, secondo quanto sostenuto nel report, che prende nome dalla virologa Li-Meng Yan, co-firmato assieme ad altri due colleghi, vi sarebbero «evidenze» di una ingegnerizzazione del nuovo Coronavirus. Eppure, nulla nel testo riesce a superare quanto appurato dalla letteratura scientifica; gli stessi autori ammettono che non esistono pubblicazioni autorevoli al riguardo, usando l’eufemismo della «censura peer review», anch’essa non meglio dimostrata. Inoltre la stessa Yan risulterebbe collegata a Steve Bannon, spin doctor della propaganda di Donald Trump, notoriamente anti-cinese.


Il report solleva effettivamente diversi dubbi, che solo un genetista potrebbe riconoscere come tali, o riscontrarne l’ingenuità o la pretestuosità, alla luce di conoscenze più approfondite della materia. Marco Gerdol è un ricercatore che si occupa di genomica comparata presso l’Università degli studi di Trieste. Recentemente ha pubblicato su Facebook due post tra il divulgativo e il tecnico, dove analizza le comparazioni tra diversi genomi di Coronavirus, che secondo lo Yan Report sarebbero stati alla base della creazione di SARS-CoV2.

Nel primo prende in considerazione le argomentazioni attorno al genoma di RaTG13, ovvero il Coronavirus più vicino a quello responsabile della Covid-19; nel secondo analizza le tesi riguardanti altri due genomi studiati in laboratori militari, ritenuti la vera origine di SARS-CoV2. Lo abbiamo intervistato per avere ulteriori chiarimenti, spiegandoci in maniera semplice anche le basi che lo hanno portato a smontare tutte queste narrazioni, in modo da fornire uno strumento in più al fine di permettere ai lettori di riconoscere le fallacie logiche e scientifiche su cui si reggono report di questo tipo, in attesa di un secondo Yan Report, dove Yan ha recentemente promesso che finalmente avrebbe dimostrato «tutta la verità».
La parola al genetista

Perché RaTG13 è importante nello studio di SARS-CoV2?

«È importante perché si tratta del Coronavirus geneticamente più vicino a SARS-CoV2 – spiega il Genetista – Per quel che ne sappiamo è il virus attualmente noto che ha un antenato comune più vicino. Quindi è fondamentale come punto di partenza per poi andare a ritroso nelle indagini sull’evoluzione virale. Non solo RaTG13, ma anche un secondo virus che non viene praticamente mai menzionato nel report, che è RmYN02, scoperto più di recente, ed è risultato ancor più vicino dal punto di vista evolutivo. Quasi certamente potrebbero essercene molti altri, che semplicemente non abbiamo mai campionato. Continuiamo a cercare di riempire i buchi in questo mosaico evolutivo, per capirci qualcosa di più».

Studiando le evoluzioni di un genoma si possono fare anche stime temporali? Come è possibile?

«Noi abbiamo a disposizione, per quanto riguarda questa pandemia, dei dati genomici che sono stati campionati a distanza di mesi l’uno dall’altro – continua Gerdol – Quindi sappiamo qual è la sequenza originaria da cui tutto è nato, e adesso abbiamo a disposizione altri genomi virali che sono leggermente diversi da quello di partenza. Possiamo andare esattamente a contare quanti sono i nucleotidi che sono cambiati nel genoma virale nell’arco di “tot mesi”. Tra i genomi attualmente circolanti ce ne sono alcuni un po’ diversi altri rimasti un po’ più simili, ma possiamo dire che nell’arco di un anno il tasso di evoluzione molecolare porta più o meno a 25 mutazioni su tutto un genoma da 30mila nucleotidi».

«La stessa cosa può essere portata anche dallo studio di altri virus. Per esempio, abbiamo coppie di virus da confrontare, come quello della Sars (2002-2003), con il parente più affine trovato nel pipistrello. Anche qui il confronto a coppie permette di individuare una divergenza che può essere riportata in una scala temporale. Ovviamente si usano dei set di calibrazione, perché in alcuni casi abbiamo anche dei dati temporali che ti permettono di sapere esattamente quando quei virus si sono differenziati a partire da un antenato comune».

«In uno di questi lavori di cui ho parlato in uno dei miei post, per delle stime temporali sono state utilizzate delle coppie di calibrazione, per esempio tra il virus della Mers e uno di quelli responsabili dei rafreddori, OC43. Ovviamente si tratta di stime, perché non abbiamo la possibilità di andare indietro nel tempo per identificare l’evento di speciazione originario, però si possono fare delle stime ragionevoli».

«È possibile stimare con degli intervalli di confidenza ragionevoli che un determinato evento di speciazione, in questo caso la divergenza evolutiva del virus, è avvenuto in una certa data. Nel report vengono citati due ceppi virali praticamente “identici” (ZXC21 e ZC45) come potenziali modelli, nell’ingegnerizzazione del SARS-CoV2, mentre in realtà sono virus naturali che semplicemente hanno un antenato comune, sia col nuovo Coronavirus che con RaTG13, e sono da posizionarsi molto più indietro nel tempo. C’è una divergenza sostanziale di quasi tremila nucleotidi (il 10%). Questo ci dice che l’antenato comune è da far risalire in tempi abbastanza remoti: parliamo di alcune centinaia di anni fa».

«Uno dei punti più assurdi del report – nel sostenere l’utilizzo di questi ceppi scoperti nei laboratori militari – è proprio il fatto che se tu avessi voluto creare un virus artificiale di questo tipo avresti dovuto inserire letteralmente centinaia di mutazioni puntiformi in altre parti del genoma per mimare una evoluzione naturale. Questa è la parte perversa del discorso».

Il contenuto pseudoscientifico si riflette anche nello stile complottista usato dagli autori?

«Un altro discorso è il tono con cui è stato preparato – spiega il Genetista – il suo aspetto complottistico, con un continuo riferimento a preprint [articoli non verificati] scritti da personaggi sospetti, l’affiliazione a queste fantomatiche società; uno stile che agli occhi di un esperto lo rende pseudoscienza e non un lavoro scientifico, ma una certa parte dei lettori magari non è in grado di distinguere cosa è scienza e cosa pseudoscienza. Si ritrova con un documento che ha la forma e la preparazione di un lavoro scientifico, ma che in realtà non lo è affatto. È un articolo di opinione, intriso di politica, e chiaramente questo tono si nota».

«Basta notare la lista delle referenze che sono state messe. Si tratta in larga parte di lavori preprint che non hanno la possibilità di essere accettati da nessuna rivista seria, perché sono scritti male, con errori veramente marchiani. Certi sono pezzi di opinione, scritti da gente che non ha nulla a che vedere col mondo scientifico. Uno di questi è una sorta di santone. Un altro è il CEO di una società che si occupa di analisi. In generale non si tratta di persone del mondo scientifico, in veste di accademici».

«Altre volte si tratta invece di referenze citate a sproposito, nel senso che l’articolo citato – magari pure sottoposto a peer review – è un paper che dice una cosa, e il significato del suo contenuto viene completamente stravolto nel report, per sostenere una tesi sostanzialmente precostituita».

Un parallelo con altre tesi di complotto: la tesi degli Antichi astronauti

Nella nostra più modesta analisi avevamo fatto un paragone tra il modo con cui viene prodotto il report, e le tesi sugli Antichi astronauti, dove alcuni teorizzano che gli alieni avrebbero ingegnerizzato gli Homo Erectus (nostri fratelli evolutivi), facendoli diventare Homo Sapiens per farli lavorare come schiavi. Similmente si prendono virus imparentati col SARS-CoV2 e quindi si può giocare a sostenere che siano stati modificati i primi per generare il secondo. Abbiamo anche un parallelo con il cosiddetto «anello mancante», usato spesso dai Creazionisti per negare la teoria dell’evoluzione: “è difficile ottenere sequenze complete, quindi RaTG13 è stato inventato“.

«Quelli importanti dal punto di vista evolutivo sono i Coronavirus identificati nei pangolini – precisa Gerdol – Si tratta di cugini un po’ più lontani. Stanno in mezzo tra RaTG13/RmYN02 (più vicini) e ZXC21/ZC45 (meno vicini). Anche questi sono stati esclusi dal report, in maniera piuttosto deliberata. Se li avessero inclusi avrebbero rovinato la narrativa del report stesso».

«Loro dicono addirittura che RaTG13 sia stato inventato di sana pianta. Parlano di base per l’ipotetica ingegnerizzazione riferendosi a ZXC21 e ZC45, ovvero due virus molto più divergenti, mentre RaTG13 ha una divergenza molto più bassa (è simile mediamente al 96%). Partono fin dall’introduzione nel dire che la sequenza genomica di RaTG13 è molto sospetta, quindi sostengono che non l’avrebbero presa in considerazione. Come mai? Perché essendo stato isolato in natura, avrebbe fatto cadere tutta la loro argomentazione».

«Molto meglio parlare di una ingegnerizzazione di ZXC21 e ZC45 nei laboratori militari, no? RaTG13 invece venendo resa nota dopo l’outbreak di Wuhan sarebbe sospetta, e si noterebbero tracce di manipolazione. Ma agli occhi di un esperto tutte queste cose non esistono. Qui mi ricollego al discorso dei miei post: si tratta di una sequenza genomica ottenuta da un campione di guano, quindi immaginati l’RNA (molecola molto soggetta a degradazione). Chi come me da molto tempo lavora in laboratorio con RNA anche umani, sa che si lavora sempre e costantemente in ghiaccio con estrema attenzione, perché anche lasciare delle molecole di RNA puro così estratto, a temperatura ambiente per poche decine di minuti, può portare a una sua frammentazione e degradazione».

«Posso immaginare come sia stato effettuato il campionamento in questo caso. Mi immagino qualche speleologo mandato in una grotta a raccogliere dei campioni in una provetta a temperatura ambiente; questo guano chissà da quanto tempo era lì, e va da sé che la qualità del RNA non poteva essere ottimale, quindi i dati di sequenziamento utilizzati per assemblare questo genoma non erano di qualità eccellente, ma è normale che sia così».

Yan ha annunciato un nuovo report più preciso dove «tutto sarà dimostrato»: cosa dovrebbe contenere per convincere i genetisti?

«Non vedo assolutamente nessuna possibilità a riguardo – afferma il Genetista -. L’unica cosa che potrebbe convincere qualcuno del contrario sarebbe portare delle prove materiali del fatto che quello a cui si allude costantemente in questo report è che ci sono state delle falsificazioni dei dati di sequenza, e che ci fossero degli studi attivi sull’ingegnerizzazione di queste sequenze genomiche nei laboratori cinesi. Tutto questo non credo sia possibile che venga fornito sotto forma di prove materiali».

Come si potrebbe creare un virus del genere in segreto, facendolo sembrare naturale?

«Quando penso a queste cose mi vengono in mente le tesi sui complotti lunari» – continua Gerdol [Un complotto talmente complesso e ricco di testimoni da zittire, che sarebbe costato molto meno andare davvero sulla Luna] – Ma al di là del numero di persone coinvolte, si tratterebbe di mettere in atto tutta una serie di meccanismi perversi, per cui per mascherare il malfatto devi andare a spargere dei falsi indizi complicatissimi, andando a generare false sequenze genomiche di altri virus naturali che in realtà non esistono, e fare la stessa cosa con virus inesistenti trovati sui pangolini».

«Molto probabilmente nei prossimi mesi verranno isolati nuovi virus di questa famiglia, magari anche più vicini a SARS-CoV2 di RaTG13. Sappiamo benissimo infatti che i pipistrelli sono serbatoi naturali in cui probabilmente esistono centinaia di specie appartenenti al gruppo dei SarBeCoVirus – di questa stessa famiglia – che noi ancora non abbiamo visto, perché nessuno si è degnato di fare un campionamento serio prima di questa circostanza».

«Si sono messi a lavorare durante la crisi del virus della Sars, fermandosi quasi subito. Non ci sono state campagne di campionamento così fitte per andare a valutare la diversità virale in tutte le popolazioni di pipistrelli del Sud-Est asiatico, anche perché sono tra i mammiferi più diffusi e diversificati tra loro, quindi è quasi impossibile riuscire ad avere un campionamento coerente e costante».

«C’è da dire poi che noi pensiamo sempre ai pipistrelli come passaggio diretto del virus all’uomo per zoonosi, ma in realtà potrebbero esserci altre riserve naturali, i cosiddetti ospiti intermedi, del tutto ignoti». Non siamo molto sicuri riguardo al pangolino. «Uno studio più recente pubblicato su Nature Microbiology, in cui si è andati a studiare le regioni del genoma non ricombinante, analizza questi genomi, che sono dei mosaici di pezzi di origine diversa. Quando c’è co-infezione in uno stesso organismo, questi genomi possono letteralmente fare dei copia-incolla e sostanzialmente creare degli ibridi. Rischi quindi di avere dei segnali che sono confondenti nella tua analisi filogenetica. In quest’ultimo lavoro hanno prestato attenzione a questo aspetto, riuscendo a ottenere una stima molto più accurata dei tempi di divergenza, per cui si nota chiaramente che la particolarità dei virus trovati nel pangolino e che presentano una regione della glicoproteina Spike (S) [l’antigene del nuovo Coronavirus] molto più simile a quella di SARS-CoV2 di quanto non sia RaTG13».

«Quella parte è di fondamentale importanza per garantire l’interazione col recettore ACE2 umano [il bersaglio di SARS-CoV2 presente anche nelle cellule polmonari], quindi garantendo il salto di specie, però se andiamo a considerare tutto il resto della sequenza genomica, si vede chiaramente che i virus dei pangolini in realtà sono dei cugini più lontani. Quindi cosa potrebbe essere successo? Una ricombinazione tra la linea dei pangolini e un altro gruppo di BetaCoronaVirus imparentati col SARS-CoV2, di cui non sappiamo nulla perché non sono stati mai campionati. Diciamo che l’ipotesi del pangolino come ospite intermedio non è impossibile, ma al momento non è la più accreditata. Per quanto ne sappiamo probabilmente è più ragionevole pensare che tutto sia avvenuto nei pipistrelli».

I virus studiati nei laboratori vengono tutti categorizzati e il loro genoma registrato nei database pubblici?

«Sì, assolutamente – conferma il Genetista – Se un lavoro viene pubblicato, in qualsiasi rivista scientifica il dovere degli autori è quello di depositare tutte le sequenze di cui si parla, quindi i dati devono essere disponibili alla comunità scientifica. Altro discorso è se si comincia a pensare di attività di ricerca che non sono atte alla pubblicazione di dati scientifici, ma – secondo l’immaginario complottista – in laboratori segreti, militari; su un virus, ingegnerizzandolo per creare un’arma virologica: chiaramente di questo non ci sarebbe traccia».

Quanto è plausibile che oggi si possa lavorare segretamente a dei virus come armi biologiche? Non sarebbe controproducente?

«È abbastanza palese che un’arma del genere si ritorcerebbe contro chi l’ha prodotta – continua Gerdol – In questo caso particolare SARS-CoV2 non sarebbe comunque un virus dalle caratteristiche giuste per usi terroristici, perché non è controllabile». Torniamo al paradosso complottista dei cospiratori onnipotenti, ma anche stupidi. «Esatto. Se anche uno dovesse pensare a quali caratteristiche dovrebbe avere un virus da utilizzare in un attacco terroristico, una di queste è chiaramente quella di poterlo controllare. Oggi non sappiamo nulla in generale dei BetaCoronaVirus. L’esperienza della Sars alla fine avrebbe potuto portare a conoscenze molto forti, ma la ricerca si è sostanzialmente fermata perché il virus è scomparso nel 2003. La Mers non ha mai rappresentato un grosso problema per via della trasmissibilità molto ridotta, quindi chiaramente noi sappiamo pochissimo».

«Nel report si parla in modo esplocito di ingegnerizzazione a carico di determinate proteine virali, per esempio, quando non siamo nemmeno sicuri di cosa facciano nello sviluppo delle infezioni. Siamo veramente nell’assurdo. Anche del nostro genoma sappiamo relativamente poco; per quanto ormai sequenziato completamente da un bel po’ di tempo, le variazioni genetiche umane sono in larga parte imprevedibili, nel senso che non è possibile prevedere come determinerebbero il comportamento dell’Organismo a contatto con un virus».

Lei ha definito questo documento «un report intriso di politica, più di quanto non si possa immaginare». Pensa che sia una narrazione affetta da bias anti-cinesi?

«Io credo di sì – conferma il Genetista – Penso anche all’immagine di questa Yan, che si era già fatta conoscere in qualche modo per le sue posizioni anti-cinesi, attirando simpatie da diverse parti. Non è semplice dare a un documento di questo tipo una veste scientifica se non hai un volto che nell’immaginario collettivo è visto come autorevole. In questo caso abbiamo la figura della scienziata cinese, che sarebbe stata perseguitata dalle autorità cinesi, per aver fatto cose scomode, che continua la sua battaglia contro “il Sistema”. Questo chiaramente ha creato la situazione ideale per diffondere il suo report. Ho la sensazione che continueranno a venire pubblicati documenti di questo tipo, per proseguire a battere sulla presunta censura della peer review, o della ricerca corrotta nei laboratori militari».

Oltre lo Yan Report, due tesi di complotto parallele segnalateci di recente: Il primer per la PCR col genoma di Homo Sapiens; e i presunti test che trovano Coronavirus a caso. Ci spiega perché non hanno senso?

«Su questa storia è stata fatta molta confusione – continua Gerdol – Come per il discorso di Luc Montagnier, che parlava delle famigerate inserzioni di HIV nel genoma di SARS-CoV2. Il riconoscimento specifico di una sequenza di DNA o RNA bersaglio, avviene attraverso l’utilizzo di due piccole sequenze di una ventina di lettere, a essa complementari, ovvero i cosiddetti primer. Avviene grazie al riconoscimento di due piccole sequenze specifiche – una ventina di “lettere” sostanzialmente – che sono i cosiddetti “primer”. Queste due sequenze sono localizzate alle estremità di un frammento che permette il rilevamento mediante fluorescenza con apposite macchine PCR».Un post complottista sulla PCR tarata con una sequenza genetica di Homo Sapiens, per trovare sempre falsi positivi.

«Questa analisi deve sfruttare delle regioni di RNA che sono presenti solo in SARS-CoV2 e non in altri virus. In questo caso – per puro caso – una parte di uno dei possibili primer che si possono utilizzare (ce ne sono tantissimi), ha una similarità con una regione di genoma umano. Questo però non significa nulla». In un precedente articolo spiegavamo (in risposta ai presunti innesti di HIV, rivelatisi piccole porzioni casualmente simili trovate nel SARS-CoV2) che leggere “lago di Como” non significa che il libro è “I promessi sposi” di Manzoni.

«Usiamo pure questo esempio: è come se tu volessi riconoscere una frase di un libro prendendo come punti di partenza la parola all’inizio e alla fine della frase. Immagina di avere uno strumento che ti permette di leggere tutte quelle frasi che iniziano e finiscono con quelle parole. Riconoscendo poi nello specifico la frase, andando a leggere quel che c’è in mezzo. Se scrivi “sono andato in vacanza in Grecia”, parto con un primer che riconosce “sono” e uno che riconosce “Grecia”». «Chiedete per quale virus vi fanno i test»: il post Facebook ingannevole che inculca il dubbio.

«Ma uno potrebbe dire “sono stato investito mentre ero in Grecia”; dovrò utilizzare una parola chiave che in questo caso potrebbe essere “vacanza”, quindi avremo il segnale di amplicifazione solo quando tutte queste tre situazioni saranno soddisfatte». Potremmo aggiungere – restando in metafora – che abbiamo anche strumenti per capire se quella frase è più o meno lunga di quella che cerchiamo, anche così l’amplificazione della PCR non potrebbe avvenire».

Ricordiamo infatti, che la ragione per cui si ripete la PCR a distanza di un certo tempo accertando anche la presenza di anticorpi, sta nel fatto che accertare la presenza di genoma virale, non ci dice che il virus sia ancora attivo. Anche questi dettagli possono alimentare le ansie dei lettori, e ispirare nuove tesi di complotto. Non ci resta che attendere il secondo Yan Report.

fonte :.https://www.open.online/2020/09/28/coronavirus-laboratorio-genetista-yan-report/

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