Si tratta di una storia puramente ipotetica, mancando in parte di oggettivi riscontri storicamente documentati, ma comunque decisamente verosimile – ed in ogni caso più verosimile della maggior parte dei racconti biblici ed evangelici, ai quali una quantità enorme di individui presta fede, pur in totale assenza di qualsiasi verifica storica, quando non addirittura in aperta contraddizione con la storia stessa.
Per motivi di spazio ci limiteremo ad enunciare alcuni fatti fondamentali.
Intorno al 1300 a.C. Akhenaton, passato alla storia come “il faraone ribelle o eretico”, contrappone un culto monoteista a quello politeista in vigore in tutto l’Egitto, forse continuando l’opera intrapresa da suo padre Amenophis III e fonda una nuova capitale ad Amarna, a circa 200 km a sud del Cairo. Il popolo resta però in maggioranza fedele agli antichi dei. Seguaci di Akhenaton e del nuovo ed unico dio Aton, saranno solo una esigua minoranza della popolazione egizia, alcune razze tipicamente africane e la quasi totalità degli hyksos, i discendenti delle tribù semite che intorno al XVII secolo a.C. avevano invaso il nord dell’Egitto dominandolo per due dinastie, prima di essere definitivamente sottomessi.
Dopo circa diciassette anni di governo, tuttavia, Akhenaton scompare nel nulla e la restaurazione politeista si accanisce contro di lui, con una accurata damnatio memoriae: quasi tutti i segni visibili del suo passaggio – iscrizioni, sculture, documenti – vengono così distrutti e la stessa città di Amarna rasa al suolo.
Secondo recenti ipotesi, un’insurrezione della popolazione, guidata dal clero tebano, costrinse il faraone eretico ad abbandonare l’Egitto, per stabilirsi presumibilmente in Palestina con tutti i suoi seguaci; a conferma di ciò esiste una lettera nella quale il governatore di Gerusalemme fa esplicito riferimento al divieto di abbandonare le terre dell’esilio.
L’identificazione del faraone ribelle ed esiliato Akhenaton col Mosè biblico dell’esodo ebraico, appare estremamente logica. Sono infatti facilmente rintracciabili le numerose analogie storiche, circostanziali e cronologiche tra i due personaggi. Lo stesso nome di Mosè sembra di origine egiziana ed il mito della sua infanzia – salvato dalle acque ed educato alla corte dei faraoni, in perfetta analogia col precedente mito del sumero Sargon – appare come il tentativo di mascherare una realtà che “non deve” essere divulgata.
Facciamo ora un salto in avanti di più di tremila anni: Egitto 1923, apertura ufficiale della tomba di Tutankhamen. Contravvenendo – come del resto era la regola a quei tempi – alla più elementari regole deontologiche, gli scopritori del sito archeologico, Lord Carnarvon e Howard Carter, avevano, circa tre mesi prima dell’apertura ufficiale, già violato in segreto la tomba, trafugando una moltitudine di oggetti preziosi e suppellettili che avrebbero arricchito il mercato clandestino delle antichità egizie, nonché, supponiamo, i loro personali patrimoni.
Ad un primo sommario inventario, tra gli oggetti “ufficialmente” ritrovati nella tomba sono presenti anche alcuni papiri; di essi si fa cenno nella corrispondenza privata dei due, in lettere inviate ad amici e colleghi; ma poco tempo dopo i suddetti papiri risultano inesistenti, cancellati dai successivi inventari. Interrogato in proposito, Carter dichiarerà trattarsi di un clamoroso errore: alcuni rotoli di lino presenti nella tomba erano stati sprovvedutamente scambiati per papiri.
Tale versione appare poco credibile, trattandosi di egittologi esperti – Carter, in particolare, ha alle spalle una lunghissima carriera – ma nessuno solleva obiezioni. Accade però che in un secondo momento, a seguito di vicende che non ci dilunghiamo a narrare, le autorità egiziane prospettino la possibilità di togliere a Carter la concessione per continuare gli scavi.
Questi allora si reca al consolato britannico e minaccia, nel caso in cui non gli fosse stata rinnovata la concessione, di svelare al mondo intero il contenuto dei papiri… fornendo, cioè, il vero resoconto dell’esodo degli ebrei dall’Egitto. Tale episodio è riportato da Lee Keedick (memorie, 1924 circa) con tale dovizia di particolari, da far ritenere improbabile che si tratti di una circostanza inventata, né risulterebbe intelligibile il motivo di una eventuale fantasiosa invenzione.
E’ pertanto perfettamente lecito, date tali premesse, supporre che la divulgazione del contenuto dei papiri avrebbe ottenuto effetti indesiderati a livello politico; ed è altrettanto lecito ipotizzare che i papiri narrassero la storia di Akhenaton e dell’esodo suo e dei suoi seguaci verso la Palestina.
Ricordando che era solo di pochi anni prima, la famigerata ‘Dichiarazione Balfour’ (ovvero il primo riconoscimento ufficiale delle aspirazioni sioniste in merito alla spartizione dell’Impero Ottomano, costituito da una lettera, scritta dall’allora ministro degli esteri inglese Arthur Balfour a Lord Rotschild – principale rappresentante della comunità ebraica inglese e referente del movimento sionista – con la quale il governo britannico affermava di guardare con favore alla creazione di un focolare ebraico in Palestina), si comprende come un documento che nella sostanza minava alla base i miti fondatori del movimento sionista – in particolare relativamente ad una presunta omogeneità razziale ed alla volontà di far ritorno alle terre dei propri presunti avi – avrebbe avuto nell’opinione pubblica mondiale un impatto dirompente, delegittimando definitivamente il movimento sionista stesso, che aveva già intrapreso a tappe forzate e con tutti i mezzi disponibili, non escluso il terrorismo, la colonizzazione della Palestina.
La divulgazione di tale materiale avrebbe, inoltre, fornito argomentazioni irrefutabili agli arabi, che in quegli anni manifestavano a Gerusalemme e altrove, contro l’appoggio britannico alla creazione di uno stato ebraico in Palestina.
Per inciso, vogliamo qui puntualizzare che, quand’anche fosse provata la omogeneità razziale delle popolazioni di religione ebraica (pur sembrandoci inverosimile far discendere dal medesimo ceppo razziale un askenazita ed un falashà) o fosse provata la presenza dominante in Palestina, tre millenni fa, dei progenitori degli attuali ebrei, questo non sarebbe sufficiente a rivendicare alcunché. Inoltre, ci hanno sempre ripetuto che uno stato fondato sulla razza costituisce il Male Assoluto… ma forse l’entità sionista fa eccezione a tale regola generale.
Esistono, inoltre, altre notizie interessanti a completare il quadro: lady Almina, moglie di Lord Carnarvon, era la figlia di Alfred de Rothschild, finanziere e parente stretto di Edmond de Rothschild, il banchiere ebreo promotore del primo congresso sionista a Basilea del 1897. E’ presumibile, quindi, che questi sia stato tempestivamente informato del contenuto dei papiri ed abbia effettuato le opportune contromosse per impedirne la divulgazione.
Nei dieci anni successivi alla scoperta della tomba di Tutankhamen, infatti, circa una quindicina di personaggi che avevano avuto qualche ruolo nei lavori di scavo e nella documentazione dei materiali rinvenuti, o semplicemente di questi erano amici o parenti, perirono in circostanze a dir poco misteriose: improbabili suicidi, strane malattie dai sintomi inspiegabili, anomali arresti cardiaci ecc.
Inoltre, la stampa dell’epoca accolse, amplificandola a dovere, la leggenda passata alla storia come “la maledizione del faraone”, e nessuno avanzò l’ipotesi che potesse semplicemente trattarsi di testimoni pericolosi, scomodi, cui doveva essere drasticamente impedito di raccontare ciò che forse sapevano.
Del resto, la pratica degli “omicidi mirati” per l’eliminazione di chiunque ostacoli l’entità sionista, non era ancora nota a tutti o da quasi tutti passivamente accettata.
Per chi fosse desideroso di approfondire l’argomento trattato consigliamo: Andrew Collins, Chris Ogilvie-Herald “La cospirazione di Tutankhamen”, Newton Compton Editori; Marco Pizzuti “Scoperte archeologiche non autorizzate”, Edizioni Il Punto d’Incontro; il sito “Altra Informazione” a cura di Marco Pizzuti; la ricca bibliografia reperibile nelle opere citate.
FONTE:
Rivisto da www.fisicaquantistica.it
Fonte: http://www.infopal.it/mose-ed-akhenaton-forse-due-storie-in-una/
Per motivi di spazio ci limiteremo ad enunciare alcuni fatti fondamentali.
Intorno al 1300 a.C. Akhenaton, passato alla storia come “il faraone ribelle o eretico”, contrappone un culto monoteista a quello politeista in vigore in tutto l’Egitto, forse continuando l’opera intrapresa da suo padre Amenophis III e fonda una nuova capitale ad Amarna, a circa 200 km a sud del Cairo. Il popolo resta però in maggioranza fedele agli antichi dei. Seguaci di Akhenaton e del nuovo ed unico dio Aton, saranno solo una esigua minoranza della popolazione egizia, alcune razze tipicamente africane e la quasi totalità degli hyksos, i discendenti delle tribù semite che intorno al XVII secolo a.C. avevano invaso il nord dell’Egitto dominandolo per due dinastie, prima di essere definitivamente sottomessi.
Dopo circa diciassette anni di governo, tuttavia, Akhenaton scompare nel nulla e la restaurazione politeista si accanisce contro di lui, con una accurata damnatio memoriae: quasi tutti i segni visibili del suo passaggio – iscrizioni, sculture, documenti – vengono così distrutti e la stessa città di Amarna rasa al suolo.
Secondo recenti ipotesi, un’insurrezione della popolazione, guidata dal clero tebano, costrinse il faraone eretico ad abbandonare l’Egitto, per stabilirsi presumibilmente in Palestina con tutti i suoi seguaci; a conferma di ciò esiste una lettera nella quale il governatore di Gerusalemme fa esplicito riferimento al divieto di abbandonare le terre dell’esilio.
L’identificazione del faraone ribelle ed esiliato Akhenaton col Mosè biblico dell’esodo ebraico, appare estremamente logica. Sono infatti facilmente rintracciabili le numerose analogie storiche, circostanziali e cronologiche tra i due personaggi. Lo stesso nome di Mosè sembra di origine egiziana ed il mito della sua infanzia – salvato dalle acque ed educato alla corte dei faraoni, in perfetta analogia col precedente mito del sumero Sargon – appare come il tentativo di mascherare una realtà che “non deve” essere divulgata.
Facciamo ora un salto in avanti di più di tremila anni: Egitto 1923, apertura ufficiale della tomba di Tutankhamen. Contravvenendo – come del resto era la regola a quei tempi – alla più elementari regole deontologiche, gli scopritori del sito archeologico, Lord Carnarvon e Howard Carter, avevano, circa tre mesi prima dell’apertura ufficiale, già violato in segreto la tomba, trafugando una moltitudine di oggetti preziosi e suppellettili che avrebbero arricchito il mercato clandestino delle antichità egizie, nonché, supponiamo, i loro personali patrimoni.
Ad un primo sommario inventario, tra gli oggetti “ufficialmente” ritrovati nella tomba sono presenti anche alcuni papiri; di essi si fa cenno nella corrispondenza privata dei due, in lettere inviate ad amici e colleghi; ma poco tempo dopo i suddetti papiri risultano inesistenti, cancellati dai successivi inventari. Interrogato in proposito, Carter dichiarerà trattarsi di un clamoroso errore: alcuni rotoli di lino presenti nella tomba erano stati sprovvedutamente scambiati per papiri.
Tale versione appare poco credibile, trattandosi di egittologi esperti – Carter, in particolare, ha alle spalle una lunghissima carriera – ma nessuno solleva obiezioni. Accade però che in un secondo momento, a seguito di vicende che non ci dilunghiamo a narrare, le autorità egiziane prospettino la possibilità di togliere a Carter la concessione per continuare gli scavi.
Questi allora si reca al consolato britannico e minaccia, nel caso in cui non gli fosse stata rinnovata la concessione, di svelare al mondo intero il contenuto dei papiri… fornendo, cioè, il vero resoconto dell’esodo degli ebrei dall’Egitto. Tale episodio è riportato da Lee Keedick (memorie, 1924 circa) con tale dovizia di particolari, da far ritenere improbabile che si tratti di una circostanza inventata, né risulterebbe intelligibile il motivo di una eventuale fantasiosa invenzione.
E’ pertanto perfettamente lecito, date tali premesse, supporre che la divulgazione del contenuto dei papiri avrebbe ottenuto effetti indesiderati a livello politico; ed è altrettanto lecito ipotizzare che i papiri narrassero la storia di Akhenaton e dell’esodo suo e dei suoi seguaci verso la Palestina.
Ricordando che era solo di pochi anni prima, la famigerata ‘Dichiarazione Balfour’ (ovvero il primo riconoscimento ufficiale delle aspirazioni sioniste in merito alla spartizione dell’Impero Ottomano, costituito da una lettera, scritta dall’allora ministro degli esteri inglese Arthur Balfour a Lord Rotschild – principale rappresentante della comunità ebraica inglese e referente del movimento sionista – con la quale il governo britannico affermava di guardare con favore alla creazione di un focolare ebraico in Palestina), si comprende come un documento che nella sostanza minava alla base i miti fondatori del movimento sionista – in particolare relativamente ad una presunta omogeneità razziale ed alla volontà di far ritorno alle terre dei propri presunti avi – avrebbe avuto nell’opinione pubblica mondiale un impatto dirompente, delegittimando definitivamente il movimento sionista stesso, che aveva già intrapreso a tappe forzate e con tutti i mezzi disponibili, non escluso il terrorismo, la colonizzazione della Palestina.
La divulgazione di tale materiale avrebbe, inoltre, fornito argomentazioni irrefutabili agli arabi, che in quegli anni manifestavano a Gerusalemme e altrove, contro l’appoggio britannico alla creazione di uno stato ebraico in Palestina.
Per inciso, vogliamo qui puntualizzare che, quand’anche fosse provata la omogeneità razziale delle popolazioni di religione ebraica (pur sembrandoci inverosimile far discendere dal medesimo ceppo razziale un askenazita ed un falashà) o fosse provata la presenza dominante in Palestina, tre millenni fa, dei progenitori degli attuali ebrei, questo non sarebbe sufficiente a rivendicare alcunché. Inoltre, ci hanno sempre ripetuto che uno stato fondato sulla razza costituisce il Male Assoluto… ma forse l’entità sionista fa eccezione a tale regola generale.
Esistono, inoltre, altre notizie interessanti a completare il quadro: lady Almina, moglie di Lord Carnarvon, era la figlia di Alfred de Rothschild, finanziere e parente stretto di Edmond de Rothschild, il banchiere ebreo promotore del primo congresso sionista a Basilea del 1897. E’ presumibile, quindi, che questi sia stato tempestivamente informato del contenuto dei papiri ed abbia effettuato le opportune contromosse per impedirne la divulgazione.
Nei dieci anni successivi alla scoperta della tomba di Tutankhamen, infatti, circa una quindicina di personaggi che avevano avuto qualche ruolo nei lavori di scavo e nella documentazione dei materiali rinvenuti, o semplicemente di questi erano amici o parenti, perirono in circostanze a dir poco misteriose: improbabili suicidi, strane malattie dai sintomi inspiegabili, anomali arresti cardiaci ecc.
Inoltre, la stampa dell’epoca accolse, amplificandola a dovere, la leggenda passata alla storia come “la maledizione del faraone”, e nessuno avanzò l’ipotesi che potesse semplicemente trattarsi di testimoni pericolosi, scomodi, cui doveva essere drasticamente impedito di raccontare ciò che forse sapevano.
Del resto, la pratica degli “omicidi mirati” per l’eliminazione di chiunque ostacoli l’entità sionista, non era ancora nota a tutti o da quasi tutti passivamente accettata.
Per chi fosse desideroso di approfondire l’argomento trattato consigliamo: Andrew Collins, Chris Ogilvie-Herald “La cospirazione di Tutankhamen”, Newton Compton Editori; Marco Pizzuti “Scoperte archeologiche non autorizzate”, Edizioni Il Punto d’Incontro; il sito “Altra Informazione” a cura di Marco Pizzuti; la ricca bibliografia reperibile nelle opere citate.
FONTE:
Rivisto da www.fisicaquantistica.it
Fonte: http://www.infopal.it/mose-ed-akhenaton-forse-due-storie-in-una/
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