Translate

martedì 8 novembre 2011

Nazca senza marziani.

    Il deserto meridionale del Perù attira da sempre l’interesse di curiosi e studiosi, in quella terra aspra e isolata segnata dalle fiumane torrentizie che servono da affluenti al Rio Grande comparivano all’improvviso, come sorti dal nulla, i giganteschi petroglifi della Pampa de Nasca, un insieme di gigantesche figure umane, animale e geometriche incise nel terreno, totalmente incomprensibile ai visitatori.
  Le linee di Nasca sono rimaste a lungo al margine della ricerca archeologica lasciando spazio a delirante fantasie. Fra le più diffuse quella che attribuiva un origine aliena all’opera, pienamente fruibili solo dall’alto le incisioni sarebbero state segnali per astronavi. Ovviamente una teoria di questo tipo non meriterebbe neppure di essere ricordata ma presenta in realtà alcuni istruttivi insegnamenti come il rischio che gli ambiti lasciati scoperti dalla scienza ufficiale divengano terreni di conquista per ciarlatani; di come questi riescano ad influenzare l’opinione corrente e, più inquietante, una componente di tipo razzista sempre sottesa a queste teorie. Non è casuale che gli alieni vengano spesso evocati in relazione alle più grandiose produzioni del mondo africano e amerindio, moderna versione di un colonialismo culturale incapace di ammettere il genio creatore di queste genti sostituito da assurde costruzioni mentali.
  IL destino di Nazca è cambiato a partire dal 1982 con l’avvio di una grande impresa archeologica italo-peruviana al cui ideatore, mentore e protagonista, Giuseppe Orefici, dobbiamo essere enormemente gradi per aver spazzato via in un colpo decenni di deliranti proposte. La presentazione degli ultimi risultati del “progetto Nazca” mi spinge a scrivere queste righe, totalmente debitrici nei confronti del Professor Orefici e dei suoi collaboratori, sperando che anch’esse possano contribuire – nel loro piccolo – a sconfiggere le tenebre della fantasia ufologica.
  Gli scavi hanno finalmente tolto i petroglifi del loro misterioso isolamento definendo un quadro totalmente diverso per quest’angolo di Perù in un momento corrispondente all’Impero Romano. La valle di Nazca appare il centro di una civiltà potente ed evoluta, capace di esportare la propria cultura in un areale vastissimo. Una complessa rete di canalizzazioni permetteva di trasformare il deserto in una distesa coltiva fertile e produttiva sulla quale dominavano la mole della grande piramide di Cahuachi e l’infinito potere dei suoi sacerdoti-sovrani.
  Cahuachi è forse fra le scoperte più impressionanti dell’ultimo ventennio, forse il più grande complesso architettonico in mattone crudo del mondo, testimonia la ricchezza e la potenza delle aristocrazie sacerdotali nazca. Luogo sacro fin dal passato più remoto, le frequentazioni cultuali sembrano cominciare intorno al 4400 a.C., Cahuaci si trasforma in epoca nazca nel cuore di un impero teocratico capace di imporre il proprio dominio su una vasta area del mondo andino almeno fra il 400 a.C. e il 400 d.C. e di creare una cultura che sopravviverà per altri due secolo dopo la caduta dello stato imperiale.
  Per quanto ancor poco si conosca della cultura e delle religione dei nazca la scoperta della “Grande Piramide” non solo toglie i petroglifi dal loro isolamento ma fornisce puntuali confronti iconografici, specie per le figure teriomorfe per le quali si ritrovano puntuali confronti con l’immaginario figurativo dell’arredo mobiliare dell’area sacra. Le stesse figure incise nella pietra del deserto ricompaiono sfolgoranti di colore nei tessuti, nelle ceramiche, nelle zucche incise e dipinte rinvenute dei sacelli del tempo, eco di un universo religioso ancora in gran parte non spiegato, popolato da serpenti con testa felina, uccelli, orche dal volto umano, scimmie, giaguari. Forse immagini delle forze ancestrali della natura pacificate con la mediazione dell’oligarchia teocratica di Cahuachi.
  Da questo punto la piana dei petroglifi appare come la continuazione dell’area sacra, una sorta di spazio divino aperto alternativo e contrapposto a quello monumentale e costruito, secondo un processo di duplicazione simbolico-funzionale molto frequente nell’immaginario delle popolazione americane.
   Come quella della piramide anche l’area dei petroglifi appare come uno spazio già connotato in senso religioso. I rilievi più antichi appartengono sicuramente ad un orizzonte culturale molto diverso, quello della civiltà costiera di Paracas (a partire dal 750 a.C.) il cui immaginario religioso era dominato dal culto eroico degli antenati cui verosimilmente vanno riportati i più antichi petroglifi di Nazca, raffiguranti figure umane gigantesche con il capo circondato da raggi solari – o da grandi diademi piumati – secondo moduli propri del tardo stile Paracas che può scendere fino intorno al 100 a.C.
  A partire da quella data le forme trionfanti dello zoomorfismo nazca prendono il sopravvento e la pianura si popola di immensi animali, spesso integranti figure precedenti. Per quanto non ancora chiarita l’area sembrerebbe destinata a funzioni liturgiche e processionali, appare suggestivo immaginare variopinte processione che snodandosi lungo le linee incise davano vita alle gigantesche figure sotto lo sguardo protettivo delle stesse divinità che dall’alto guardavano i propri devoti. La funzione processionale – o almeno liturgica – sembra confermata dalle fasi post-nazca quando l’area continuò ad essere utilizzata a questo scopo nonostante il crollo della teocrazia di Cahuachi e dei suoi dei teriomorfi. I petroglifi più tardi, di epoca Huari (550-1000 d.C.) e Ica-Chincha (1000-1435 d.C.), si limitano ad ampi spazi geometrici delimitanti aree cerimoniali integrate dalla costruzione di altari o altre strutture in pietra.
  L’isolamento dei petroglifi si collega anche al tracollo della civilta di Nazca di cui cominciano ad essere chiare le dinamiche. Un concatenarsi di eventi calamitosi nel corso del IV d.C. dovuti all’integrazione fra gli squilibri climatici portati dal Nino e dall’eccessivo sfruttamento delle risorse ambientali praticato dalla popolazione locale. La crisi ecologica divenne crisi sociale, il potente regime teocratico avevo retta il suo potere sul suo ruolo di mediazione con gli Dei, ma questi avevano abbandonato il popolo e il consenso della classe dominante si sgretolo con l’aumento della crisi.
  Il tracollo dell’impero di Cahuachi non comportò però la fine della cultura nacza che continuò a sopravvivere per alcuni secoli seppur in un conteso sociale molto diverso, caratterizzato da una frammentazione territoriale e dall’emergere di potentati laici, di natura guerriera. Soltanto dopo il 600 d.C. la cultura nazca sembra scomparire totalmente, ormai quelle aree sono parte di una nuova realtà imperiale, quella Wari. Ma all’interno del nuovo impero il territorio di Nazca presenta insolite particolarità, nella loro espansione imperiale i Wari assorbono le culture sottomesse, le integrano, ne fanno propri gli aspetti migliori, mentre a Nazca l’invasione sigilla definitivamente il passato, i conquistatori cancellano ogni traccia della cultura locale. Gli antichi Dei di Nazca e quello che rimaneva della loro casta sacerdotale erano forse ancora troppo pericolosi per una nuova realtà statale in costruzione.
 La ricerca archeologica a ripoartato i petroglifi di Nazca nella storia e nella cultura dell’America antica, tracciando un quadro di gran lunga più suggestivo di tutti i deliri ufologici. La grandezza della creazioni umane e nella storia stessa delle culture che le hanno prodotto. Lasciamo i marziani a casa loro.  
 

Nessun commento:

Posta un commento