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giovedì 3 novembre 2011

La sindrome del Golfo: 132 mila persone ammalate nei soli Stati Uniti

Marzo 1991, Golfo Persico. 
L'operazione Desert Storm si conclude con un trionfo. Le truppe alleate contro Saddam Hussein invadono l'Irak meridionale liberando il Kuwait occupato mesi prima dall'esercito del dittatore di Baghdad. Otto settimane di combattimenti e "solo" 500 morti. Una "guerra pulita" esultano gli stati maggiori.

Sono passati dieci anni e da allora, recitano le statistiche, solo negli Stati Uniti si sono ammalate più di 132 mila persone, un veterano su cinque. Di questi, più di 25 mila sono stati colpiti da malattie sconosciute, non diagnosticate, che sono state raggruppate per comodità sotto l'espressione "Sindrome del Golfo".
«Malati di uranio?», si chiede in una recente inchiesta il quotidiano francese Le Monde, «Di petrolio? Di gas neurotossici? Di inquinamento chimico? Di farmaci sperimentali che gli sono stati somministrati per proteggerli? Di vaccinazioni a oltranza? O di tutto questo insieme? Mistero».

La storia
Alla fine del conflitto, subito dopo il rientro a casa, le condizioni di salute di molti veterani iniziano a peggiorare. Stanchezza cronica, emicrania, vertigini, perdite di memoria, diarree, problemi dermatologici o respiratori, influenze a ripetizione, articolazioni doloranti: i sintomi non corrispondono a niente di conosciuto. A volte, da queste prime espressioni del male, si passa velocemente ad altre, ben più gravi: depressione, problemi alle ossa e poi malattie degenerative del cervello, linfomi, tumori. E i medici? "Stress da servizio" diagnosticano. Intanto, i problemi sembrano trasmettersi anche alla prole dei soldati. Numerosi, infatti, i casi di bambini nati con gravi malformazioni.

I "caduti" a causa della Sindrome del Golfo così come i soldati ritornati dalla Bosnia e dal Kosovo hanno una caratteristica comune. Non sono caduti sul campo, e quindi vengono rifiutati dalla medicina militare e negati dagli stati maggiori. Hanno dovuto lottare perché la loro situazione venisse riconosciuta. Così, negli Stati Uniti è stata approvata una legge nel 1998 e oggi la malattia viene rubricata come tale. Ma, quanto a spiegazioni sulle sue origini e a terapie efficaci, ancora si brancola nel buio. I primi studi avviati dal governo americano (con uno stanziamento di 150 milioni di dolari), infatti, sono approdati a nulla, anche per la mancanza di dati.

Casualmente, la maggior parte delle cartelle cliniche dei militari presenti nel Golfo sono andate perdute alla fine del conflitto: un errore informatico, dicono al Pentagono. Quanto ai dossier della Cia, poi, si tratta di documenti coperti dal segreto, mentre l'unico studio sulla nocività dei fumi di petrolio è stato realizzato in ritardo, quando metà dei pozzi erano ormai spenti.

Nel 1997 esce The metal of disonhour, il "metallo del disonore", realizzato dall'International Action Center, il movimento fondato dall'ex ministro della giustizia degli Stati Uniti Ramsey Clark: si tratta di una raccolta di saggi ed articoli sull'uranio impoverito che documentano «il genocidio degli indiani americani e degli iracheni a causa delle radiazioni militari, la connessione tra il Du (uranio impoverito) e la sindrome del Golfo e la mobilitazione internazionale contro queste armi». Secondo un'inchiesta successiva, più di tre quarti delle forze d'invasione 540 mila dei 700 mila soldati inviati nel Golfo tra il lugli 1990 e il luglio 1991 sarebbero stati a contatto con equipaggiamenti contaminati.

Altri possibili colpevoli
Ma, insieme all'uranio, in America sono stati messi sotto accusa i "cocktail" di vaccini antibotulinici, iniettati nelle vene dei soldati per metterli a riparo da agenti chimici o batteriologici che Saddam avrebbe usato durante la guerra.
Vaccini che contengono metalli pesanti, come alluminio e mercurio, usati per stabilizzare la soluzione, nonché di formaldeide, che possono intossicare il sangue, soprattutto di soggetti predisposti. Altra ipotesi, la diffusione volontaria o causata dai bombardamenti alleati delle armi chimiche e batteriologiche (antrace, gas nervini, virus), presenti negli arsenali di Saddam Hussein all'epoca del conflitto.
Oppure, sostanze come il benzene l'idrocarburo presente nei carburanti ma usato anche come solvente e in numerosi composti chimici manipolati dai soldati , che è un noto cancerogeno.

Le cause
Le cause della Sindrome sono ancora sconosciute. Delle trentatré indagate in via ipotetica, finora non se ne è individuata nessuna che possa essere considerata responsabile dell'ampia gamma di patologie riscontrate. A livello ufficiale l'origine più probabile di buona parte dei sintomi che affliggono i reduci del Golfo era stata considerata la battle fatigue, "fatica da battaglia".

Ma grazie all'attività dei veterani americani che nel 1995 si sono costituiti in un'associazione nazionale, aiutata dalle potenti organizzazione degli ex combattenti in Vietnam il velo è stato sollevato su alcune vicende inquietanti. Per esempio, il bombardamento dei bunker di Kamisiyah, che la Cia sospettava di ospitare depositi di armi chimiche irachene, senza che il comando alleato locale, però, ne venisse a sapere niente.

È così che, il 4 marzo del 1991, almeno centomila soldati per ammissione dello stesso Pentagono sarebbero stati esposti a una nube di dubbia composizione. Intanto il numero di malati continua ad aumentare: «Alla lunga, temiamo una vera epidemia di tumori o di malattie degenerative del cervello», spiega Bob Newman, segretario del comitato di veterani.

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