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martedì 19 aprile 2011

Arrigoni ,Mistero sulla morte del volontario Italiano

Gaza City - Hanno confessato due dei militanti salafiti arrestati ieri dalla polizia di Hamas nella Striscia di Gaza nel quadro delle indagini sul rapimento e l’uccisione del volontario italiano Vittorio Arrigoni. Lo riferiscono fonti investigative locali, precisando che uno dei due è ritenuto il killer di Arrigoni, mentre l’altro ha ammesso di avere svolto un ruolo di fiancheggiatore nella logistica del sequestro. Entrambi erano tuttora in organico nei servizi di sicurezza di Hamas . Lo riferiscono fonti investigative locali, secondo le quali i due si chiamano rispettivamente Farid Bahar e Tamer al-Alhasasnah. Le fonti hanno aggiunto che sembra invece alleggerirsi la posizione del terzo sospetto arrestato, mentre altre tre persone risultano attivamente ricercate. La cellula che avrebbe gestito direttamente il rapimento e l’uccisione di Arrigoni sarebbe stata composta in totale da cinque persone, tutte militanti salafiti, ma almeno in parte provenienti dalle file di Hamas. I tre tuttora latitanti sono altri due palestinesi (originari come Bahar e al-Alhasasnah del campo profughi di Shati) e «un infiltrato giordano», hanno sottolineato le fonti. Per cercare di bloccarle le autorità di Hamas, oltre ad aver disposto retate su vasta scala e interrogatori a tappeto fra i simpatizzanti delle fazioni salafite, hanno disposto in queste ore la chiusura totale dei tunnel del contrabbando fra la Striscia di Gaza e l’Egitto.

IL PUNTO ALLE 16

Una morte atroce per mano di una frangia estrema di quel popolo palestinese alla cui causa si era dedicato da sempre, anima e corpo, anche a costo di sfidare il carcere israeliano. È finita così, a 36 anni, l’avventura umana di Vittorio Arrigoni, l’attivista, blogger e giornalista italiano rapito giovedì nella Striscia di Gaza, sua terra d’elezione, e ucciso nel giro di poche ore con disumana ferocia da un gruppuscolo locale di dichiarata matrice salafita: ispirato al verbo jihadista di Al Qaeda e ostile da posizioni ancor più radicali al “governo” islamico-nazionale di Hamas, che controlla l’enclave dal 2007.

Il suo corpo è stato trovato nell’angolo di una stanza spoglia, riverso su un materasso, in un appartamento del rione Qarama, a Gaza City, usato dai sequestratori come covo. Aveva indosso un giaccone nero, i polsi erano legati, con tracce di sangue sul volto e profondi segni rossastri attorno al collo. Secondo un primo referto medico, sarebbe stato strangolato con un cavo metallico o qualcosa di simile. Un epilogo agghiacciante, giunto all’improvviso dopo il rapimento di giovedì mattina - rivendicato dalle brigate Mohammed Bin Moslama, sigla salafita sinora poco nota - e la diffusione d’un filmato su YouTube in cui Arrigoni appariva malconcio, ma vivo. Mentre i sequestratori annunciavano un ultimatum di 30 ore (cioè sino alle 16 di ieri) per ottenere da Hamas la liberazione di un contingente di «confratelli», pena la morte di quell’ostaggio che additavano come «corruttore» occidentale dei costumi islamici e cittadino di «un paese infedele».

Da YouTube, manifestazione in ricordo di Arrigoni


Invece, tutto si è consumato molto più in fretta. E quando i miliziani di Hamas sono arrivati nel cuore della notte al covo, dopo aver arrestato un primo militante salafita, il volontario italiano era già senza vita. Stando ai primi esami - e in attesa che la salma sia restituita alla famiglia, dopo la riapertura del varco di Eretz fra la Striscia e Israele, prevista non prima di domani mattina - Arrigoni sarebbe stato ucciso sin dal pomeriggio di giovedì. O al massimo a tarda sera. Comunque, ben prima della scadenza del ricatto. L’ipotesi più plausibile è che la banda di rapitori fosse decisa ad assassinarlo sin dall’inizio, o al primo intoppo serio, non essendo abbastanza forte e attrezzata per gestire una detenzione di lungo termine.


Praga, manifestazione in ricordo di Arrigoni
Hamas, che durante l’irruzione nell’appartamento di Qarama ha eseguito un secondo arresto, non mostra di aver in ogni caso dubbi sulla matrice: un portavoce, Fawzi Barhum, ha additato apertamente i salafiti liquidandoli come «degenerati fuorilegge che vogliono seminare disperatamente anarchia e caos». Fonti del “ministero dell’Interno” di Gaza hanno a loro volta ammesso l’esistenza di fenomeni di «settarismo religioso» dietro il crimine, preannunciando a chiare lettere una «caccia al salafita».

Parole di dura denuncia sono arrivate da lì a poco direttamente dal capo del governo di fatto di Hamas, Ismail Hanyieh, che ha chiamato in prima persona la madre di Arrigoni, Egidia Beretta, per rendere onore all’ucciso, salutato come un eroe «della lotta contro l’assedio israeliano», ma anche dal fronte moderato dell’Autorità nazionale Palestinese (Anp).

Condanne unanimi rimbalzavano frattanto dall’Italia, da parte del governo, della Farnesina, del presidente della Camera e di esponenti di tutti i partiti, oltre che del mondo delle organizzazioni pacifiste e della sinistra antagonista vicine ad Arrigoni. Il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha inviato alla famiglia un messaggio nel quale definisce l’assassinio «una barbarie terroristica» e più tardi, da Bratislava, ha chiesto a nome dell’intero paese chiarezza sulle responsabilità di questo crimine. Un crimine censurato con parole severe anche dal segretario generale dell’Onu, Ban Ki Moon, e dall’Ue.

Da YouTube, le parole della madre di Vittorio Arrigoni


Sbigottimento e dolore si rincorrono intanto a Gaza - territorio ripetutamente sconsigliato ai viaggiatori dalla Farnesina anche per le difficoltà ad assicurare l’assistenza ai connazionali - dove manifestazioni spontanee di cordoglio si sono susseguite per tutto il giorno: in particolare di pescatori e contadini ai quali Arrigoni s’era spesso offerto in passato come “scudo umano”. Conosciuto più di ogni altro cooperante a Gaza - con il suo inconfondibile berretto, la pipa e i tatuaggi da marinaio - Vittorio Arrigoni era del resto di casa nella Striscia sin da quando vi era sbarcato nel 2008, con una delle prime flottiglie filopalestinesi salpate per sfidare il blocco marittimo imposto da Israele all’enclave dopo l’avvento al potere di Hamas. E ieri la sua salma, esposta all’omaggio dei visitatori nell’ospedale Shifa di Gaza City - lo stesso nel quale «l’amico italiano» era solito accompagnare ambulanze con i feriti (di nuovo, come “scudo umano”) nelle settimane della sanguinosa offensiva Piombo Fuso, condotta due anni fa da Israele contro Hamas - ha attratto file di persone commosse: «Vittorio era un fratello - ha esclamato fra gli altri, con le lacrime agli occhi, Khalil Abu Shamallah, promotore d’una associazione per i diritti umani a Gaza - Era venuto fra noi per rompere l’assedio israeliano, lasciando la sua patria e la famiglia. E qualcuno di noi l’ha ucciso. Perché»? Già, perché?

Foto - Arrigoni, manifestazioni in tutto il mondo
«Cancellate Arrigoni da Wikipedia»
La pagina Facebook di Vittorio continua a vivere
Video e foto - Il “testamento” di Arrigoni e la notizia della morte

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