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lunedì 2 maggio 2011

Bin Laden, il principe fantasma

Stanato nelle montagne del Pakistan:


di:PAOLO MASTROLILLI

Poteva vivere da ricco rampollo principesco di una famiglia miliardaria, è morto ammazzato come il terrorista più ricercato al mondo. Forse è stata coincidenza, o forse un’inclinazione inevitabile del carattere, ma la traiettoria di Osama bin Muhammad bin Awad bin Laden resterà nella storia come un tragico errore del destino.

Osama, che vuol dire «giovane leone», nasce il 10 marzo del 1957 a Riad, in Arabia Saudita. Suo padre, Muhammad, era emigrato dallo Yemen nel 1931, sperando di fare fortuna. E fortuna aveva fatto, cominciando la carriera come facchino dei pellegrini a La Mecca, e finendola come il più grande costruttore del paese. Osama è il diciassettesimo figlio di un padre che ne avrà oltre cinquanta, ma ha così tanti soldi da poterseli permettere. Si racconta che a quindici anni il ragazzo avesse già una scuderia di cavalli per il suo divertimento, e a diciassette era già sposato, con una cugina siriana. Studia economia e ingegneria all’università King Abdul-Aziz di Gedda e sembra destinato alla vita di agio e lusso dei suoi fratelli, ma qualcosa si inceppa nei meccanismi della sua esistenza.

Quando aveva dieci anni suo padre era morto in un incidente aereo, la cui colpa era ricaduta sul pilota americano. Strano rapporto, quello di Osama con Muhammad: da una parte rispettava e adorava il padre, un pio musulmano che si vantava di aver pregato a La Mecca, Medina e Gerusalemme, tutto in un solo giorno; dall’altra se ne sentiva rifiutato perché aveva abbandonato sua madre, una siriana, subito dopo la nascita del futuro capo di al Qaeda.

Durante gli anni dell’università Osama si avvicina all’estremismo islamico e finisce sotto l’influenza di due cattivi maestri, Muhammad Quttub e Abdullah Azzam. Ma la svolta arriva nel 1979. Osama ha 22 anni e l’Unione Sovietica invade l’Afghanistan. Lui si unisce ai mujaheddin che combattono i russi, offrendo soldi e assistenza. L’Arabia Saudita lo usa come tramite e anche gli americani, per via indiretta, lo aiutano a costruire il suo esercito e le sue basi, a partire da quella sulle montagne di Tora Bora.

Quando i sovietici vengono sconfitti bin Laden torna in Arabia, accolto come un eroe, ma il rapporto con la monarchia saudita si incrina presto. Lui l’accusa di essersi prostrata agli americani e l’invasione irachena del Kuwait, nell’agosto del 1990, spezza definitivamente il filo. Osama, che a quel punto aveva già trasformato al Qaeda nella sua rete per tenere uniti i mujaheddin con cui aveva combattuto in Afghanistan, denuncia l’alleanza di Riad con Washington. Si presenta come l’emiro che vuole resuscitare il califfato, per riunire sotto un solo governo islamico tutti i musulmani. Il governo saudita lo confina a Gedda ma lui scappa in Sudan, un paese senza legge dove può costruire la sua base.

Il 29 dicembre del 1992 una bomba esplode in un hotel di Aden, dove avevano alloggiato truppe americane in viaggio verso la Somalia. Al momento dell’attentato i soldati Usa non ci sono più, ma muoiono due turisti austriaci. Gli esperti di intelligence considerano questa la prima operazione di al Qaeda, l’ambizioso inizio di un’escalation. Nel febbraio del 1993 segue il primo attentato contro le Torri Gemelle, poi il massacro di diciotto soldati americani in Somalia. Nel 1994 il governo saudita revoca la cittadinanza a bin Laden e congela i suoi beni, ma questo lo spinge ancora di più sulla via dell’estremismo. Scrive una lettera di fuoco contro re Fahd e nel novembre del 1995 un camion bomba esplode nel centro di addestramento della Guardia nazionale saudita, gestito dagli americani a Riad, uccidendo sette persone. Nel giugno dell’anno dopo, invece, l’attacco alle Khobar Towers, una residenza per i soldati americani a Dhahran, fa diciannove vittime. Il Sudan, sotto pressione degli Stati Uniti e dell’Arabia, espelle Osama.

Lui si rifugia in Afghanistan e stringe un’alleanza con il mullah Omar e i taleban: ad agosto pubblica la sua personale dichiarazione di guerra contro gli americani, che secondo lui occupano «la Terra delle due Sante Moschee», cioè l’ex Arabia. Nel febbraio del 1998, insieme al suo braccio destro egiziamo Ayman al-Zawahiri, emette una fatwa in cui dichiara che attaccare gli americani ovunque nel mondo è «un dovere individuale» di ogni musulmano. Pochi mesi dopo, il 7 agosto, nell’ottavo anniversario dell’invio delle truppe Usa nel Golfo Persico, due bombe esplodono simultaneamente davanti alle ambasciate americane di Nairobi e Dar es Salaam. Muoiono in totale 224 persone e oltre 4.500 restano ferite. Osama diventa il nemico numero uno di Washington e il presidente Clinton reagisce lanciando missili sulle sue basi in Afghanistan e su una fabbrica farmaceutica del Sudan, sospettata di produrre armi chimiche per al Qaeda. E’ l’inizio dello scontro aperto, ma è già troppo tardi.

Bin Laden sta organizzando da tempo il suo attacco al cuore degli Stati Uniti, un progetto così ambizioso e folle da sembrare impossibile. Nel 2001 l’intelligence americana capisce che si sta preparando a colpire, ma una incredibile serie di errori e coincidenze sfortunate impedisce di scoprire come. L’11 settembre quattro aerei di linea vengono dirottati: due si schiantano contro le Torri Gemelle, uno sul Pentagono, e il quarto, presumibilmente diretto verso la Casa Bianca, precipita sopra un prato della Pennsylvania dopo la rivolta dei passeggeri a bordo. La caccia a bin Laden, già cominciata da anni nel silenzio, diventa la priorità della «Guerra al terrorismo» del presidente Bush. Lui, che prevedeva di finire braccato, aveva vietato ai suoi venticinque o ventisei figli perfino di bere acqua fredda, affinché non si abituassero agli agi che la vita da ricercati avrebbe reso impossibile. Sfugge agli attacchi americani in Afghanistan attraversando le impenetrabili montagne di Tora Bora. Diventa un fantasma, sparisce nel nulla. Tutti dicono che si è rifugiato nelle regioni tribali del Pakistan, dove gode da sempre della protezione della gente, ma nessuno riesce a sapere dove. Fino a ieri notte.

La fonte:
http://www3.lastampa.it

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